Federico Fellini
(Rimini 20 gennaio 1920 - Roma 31 ottobre 1993)


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Fiabe di provincia, sogni in celluloide

Lasciatecelo ricordare con nome e cognome, non con la falsa cordialità di Federico o con la retorica ossequiosa di "il maestro".
Federico Fellini, 73 anni, di Rimini, uno dei più grandi autori del cinema italiano, un regista fuori dalle mode e dalle correnti, prima di tutte quella del neorealismo, così legato ai suoi esordi (fu tra gli sceneggiatori di Roma città aperta e Paisà) e così lontana invece dal suo stile, fatto di invenzioni, ricordi autobiografici e nostalgie, esaltati da una vena fantastica, ironica e sognante. Eppure tra la commozione e le ovazioni di queste settimane sembra ci si sia dimenticati di certa non sintonia con critica e pubblico nell'ultimo decennio e che la grande stagione felliniana ha regalato veri capolavori non sempre all'epoca unanimemente riconosciuti, ma ormai entrati di diritto nell'immaginario collettivo della filmografia mondiale.
Quando, ad esempio, nel 1954 realizzò
La strada, Fellini aveva al suo attivo già il successo de I Vitelloni, premiato l'anno prima a Venezia con il Leone d'argento, ma ci volle l'oscar perché tutti riconoscessero la grandezza della favola triste del rude Zampanò e della dolce Gelsomina interpretata dalla moglie del regista, Giulietta Masina.
Allegoria, amore e speranza, solitudine e incomunicabilità. Il mondo di Fellini crebbe con la bizzarria dei suoi personaggi e l'originalità delle sue fiabe in bilico tra il sociale e il privato:
Il bidone, Le notti di Cabiria, Giulietta degli spiriti.
E, in mezzo, due capolavori assoluti:
La dolce vita, del 59, e del 63. Film-scandalo il primo, impietosa analisi della vacuità della condizione umana contemporanea. Film-monumento autobiografico sulle contraddizioni dell'artista, fu ancor più straordinario per ricchezza d'inventiva, in stile e contenuti, che ne fecero un esempio principe di film-nel-film.                                     
Si sarebbe ripetuto, in forza nostalgica e festa allegorica con
Amarcord che brillò di luce internazionale (fu il quarto oscar) e che tirò le fila di una produzione sempre estroversa e lussureggiante, dalla follia mefistofelica di Toby Dammit (episodio di Tre passi nel delirio) agli scenari sgargianti e ossessivi di Fellini-Satyricon, Roma, Il casanova, La città delle donne, fino all'incisiva metafora di Prova d'orchestra, del 1979, forse il vero canto del cigno della lucidità fantasiosa di Fellini.
Chi in questi anni ha apprezzato opere come
E la nave va, Ginger e Fred, L'intervista, La voce della luna sappia che ha conosciuto solo il feed-back della sua genialità: film dignitosi, ma lavori senili, riedizioni di una complessità autoriale che è stata ben superiore, e alla quale hanno contribuito oltre alla musa Masina, un attore cardine come Mastroianni, il fotografo Giuseppe Rotunno, il compianto musicista Nino Rota, una vera scuola d'arte cinematografica della quale sì Federico Fellini può essere ricordato come il vero maestro.

ezio leoni - telechiara novembre 1993