Alexandre
Schmidt è un architetto di fama internazionale, sfiduciato verso la sua
professione e incapace di comunicare con la moglie e psicologa Aliénor.
L'incontro a Stresa della coppia con i giovani Gerardo e Lavinia, fratello
e sorella, porterà a un ripensamento delle loro vite e a una nuova
iniezione di fiducia.
C'è ancora qualcuno che crede al potere salvifico o terapeutico del
cinema, c'è ancora qualcuno che crede nel ruolo prioritario e pedagogico
del cinema. Qualcuno come Eugène Green, che appartiene alla schiatta dei Rossellini e dei de Oliveira,
che professa un cinema che non si vergogna della sua antistoricità,
palesandone invece l'assoluta contemporaneità attraverso insegnamenti e
suggerimenti ispirati che non conoscono età. O per meglio dire
illuminazioni, visto il ruolo che la luce riveste nell'ultimo lavoro di
Green, in cui è centrale quanto lo è nel cinema stesso. La lezione può
essere appresa dal maestro e insegnata dall'allievo, in un ribaltamento di
ruoli degno di un dialogo socratico sulle mancanze del razionalismo
esasperato e sull'imprevedibilità del talento, quando questo è guidato
dalla spiritualità. Alexandre e Gerardo come Bernini e Borromini,
depositari di stili architettonici antitetici come le loro interpretazioni
dell'esistenza, protagonisti di un susseguirsi di opposti che genera la
più insperata delle osmosi creative. Una lectio moralis che Eugène Green
conduce ricorrendo alle tecniche care al suo cinema: piani fissi, gesti
ieratici, primissimi piani con attori che parlano rivolgendosi alla
camera, inquadrature pittoriche (tra cui spicca il trittico dei severi
esaminatori del progetto di Alexandre). Per poi lasciarsi andare all'esame
accurato delle architetture del Borromini, alla sua ascesa inarrestabile
verso l'assoluto, in cui trascinare lo spettatore più attento e complice
dell'operazione in atto. Un percorso verso la sapienza, inesorabilmente e
inevitabilmente guidato dall'amore, che restituisce speranza in un'idea di
cinema che non teme l'anacronismo e che rivendica la sua atemporalità.
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"Questo
film - dice il regista francese Eugène Green - nasce da una doppia
ispirazione. Da un lato, il desiderio di evocare con i mezzi del cinema
l'opera e la vita dell'architetto barocco Francesco Borromini. Dall’altro,
un interesse per l'architettura e l'urbanesimo contemporanei".
Presentato in anteprima italiana al Torino Film Fest,
La Sapienza
racconta il viaggio in Italia dell’architetto parigino Alexandre (Fabrizio
Rongione) con sua moglie Aliénor (Christelle Prot Landman) e del loro
incontro a Stresa con due fratelli del posto, Goffredo (Ludovico Succio) e
Lavinia (Arianna Nastro). Il percorso dei primi, volto a ritrovare le
emozioni che in gioventù avevano portato Alexandre a intraprendere la
carriera di architetto, si interrompe quando Aliénor decide di fermarsi a
Stresa per stare con la ragazza, che soffre di una malattia di origine
nervosa, e suggerisce al marito di continuare il suo cammino con Goffredo,
prossimo agli studi di architettura. Così, insieme ai due protagonisti, lo
spettatore ripercorre i capolavori del barocco italiano: dal Ticino, terra
natale del Borromini, a Torino per un’immersione nel barocco piemontese di
Guarino Guarini. Fino ad arrivare a Roma, dove il Borromini ha realizzato
le sue opere maggiori: la chiesa e il chiostro di San Carlo alle Quattro
Fontane, la Basilica di San Giovanni in Laterano e infine il complesso di
Sant'Ivo alla Sapienza, da cui è tratto il titolo del film.
Il sentimento ritrovato tra i due coniugi, l’affetto dei due fratelli e
soprattutto la passione per l’arte e per l’architettura: una storia in cui
l’amore è centrale in tutte le sue forme, oltre che un’occasione per
rivedere sul grande schermo alcuni dei tesori più preziosi del nostro
territorio, riscoprendoli attraverso l’entusiasmo dei protagonisti.
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In
quella densissima raccolta di aforismi e riflessioni che è Aurora,
Friedrich Nietzsche scrive: «Si odono soltanto le domande a cui siamo
in grado di rispondere». Un’inquadratura perfetta della modernità,
dove l’ascolto di se stessi è continuamente messo a repentaglio da quello
che, sempre Nietzsche, definisce la «precipitazione indecorosa e
sudaticcia». La fretta, gli affanni. Parte da questo recupero della giusta
distanza dalle cose il film di Eugène Green,
La Sapienza
in concorso a Locarno e realizzato con il contributo del Ministero dei
Beni Culturali (Sarraz Picture e Mact Production). La storia è quella di
Alexandre (Fabrizio Rongione, attore belga di genitori italiani amato dai
fratelli Dardenne, architetto parigino al culmine di una prolifica
carriera, il quale decide di intraprendere un viaggio in Italia. Sensibile
al messaggio subliminale che legge in questo bisogno di «distanze» da
parte del marito, la moglie Aliénor (Christelle Pot Landman) decide di
accompagnarlo. Un tuffo nell’ignoto, perché il loro legame si è
sensibilmente indebolito. Giunti a Stresa, incontrano una giovane coppia
di fratelli del posto, Goffredo e Lavinia (Ludovico Succio e Arianna
Nastro): un incontro, una specie di «contaminazione» che metterà in moto
qualcosa, perché, tornando a Nietzsche, «Non si deve restare attaccati
a una persona: fosse anche la più amata – ogni persona è un carcere e
anche un cantuccio». Così la coppia ritroverà l’equilibrio in un
intervallo, in un allontanamento che serve a schiarire lo sguardo: Aliénor
resterà a Stresa accanto a Lavinia, afflitta da una malattia di origine
nervosa, lasciando che il marito prosegua il suo viaggio con Goffredo,
verso Torino e Roma. Una metafora della conoscenza dell’altro attraverso
la coscienza di sé (Aliénor scopre un celato istinto materno, Alexandre
una predisposizione all’amicizia complice) che però si dipana in una
traiettoria tracciata dal grande architetto Francesco Borromini.
La Sapienza
infatti è un preciso riferimento alla
chiesa romana di Sant’Ivo alla Sapienza, uno dei progetti più straordinari
di Borromini (peraltro ticinese di origine — era nato a Bissone — e dunque
vicino alla cultura di Locarno). Per chi non la conoscesse, la chiesa,
edificata intorno alla metà del XVII secolo, fu una sorta di manifesto
«libertario» dell’architetto: la pianta originaria infatti prevedeva un
edificio a pianta circolare con delle cappelle. Borromini spariglia le
carte e crea un’armonia di pieni e vuoti che vanno a confluire in un
cerchio perfetto ma non facile, a cui si arriva tramite numerosi
accorgimenti architettonici. La chiarezza, insomma, è frutto di un
percorso accidentato e spesso alimentato dalle distanze poste al momento
giusto, un po’ come le costolature della cupola di Sant’Ivo. E, forse,
frutto di certe corrispondenze invisibili che si vengono a creare nella
storia. Proprio in Ticino, Nietzsche concepirà La nascita della
tragedia, primo passo nella codificazione del suo celebre Oltreuomo…
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