La Sapienza
Eugène Green - Italia 2014 - 1h 47’

   Alexandre Schmidt è un architetto di fama internazionale, sfiduciato verso la sua professione e incapace di comunicare con la moglie e psicologa Aliénor. L'incontro a Stresa della coppia con i giovani Gerardo e Lavinia, fratello e sorella, porterà a un ripensamento delle loro vite e a una nuova iniezione di fiducia.
C'è ancora qualcuno che crede al potere salvifico o terapeutico del cinema, c'è ancora qualcuno che crede nel ruolo prioritario e pedagogico del cinema. Qualcuno come Eugène Green
film successivo in archivio, che appartiene alla schiatta dei Rossellini e dei de Oliveirafilm successivo in archivio, che professa un cinema che non si vergogna della sua antistoricità, palesandone invece l'assoluta contemporaneità attraverso insegnamenti e suggerimenti ispirati che non conoscono età. O per meglio dire illuminazioni, visto il ruolo che la luce riveste nell'ultimo lavoro di Green, in cui è centrale quanto lo è nel cinema stesso. La lezione può essere appresa dal maestro e insegnata dall'allievo, in un ribaltamento di ruoli degno di un dialogo socratico sulle mancanze del razionalismo esasperato e sull'imprevedibilità del talento, quando questo è guidato dalla spiritualità. Alexandre e Gerardo come Bernini e Borromini, depositari di stili architettonici antitetici come le loro interpretazioni dell'esistenza, protagonisti di un susseguirsi di opposti che genera la più insperata delle osmosi creative. Una lectio moralis che Eugène Green conduce ricorrendo alle tecniche care al suo cinema: piani fissi, gesti ieratici, primissimi piani con attori che parlano rivolgendosi alla camera, inquadrature pittoriche (tra cui spicca il trittico dei severi esaminatori del progetto di Alexandre). Per poi lasciarsi andare all'esame accurato delle architetture del Borromini, alla sua ascesa inarrestabile verso l'assoluto, in cui trascinare lo spettatore più attento e complice dell'operazione in atto. Un percorso verso la sapienza, inesorabilmente e inevitabilmente guidato dall'amore, che restituisce speranza in un'idea di cinema che non teme l'anacronismo e che rivendica la sua atemporalità.

Emanuele Sacchi - mymovies.it

   "Questo film - dice il regista francese Eugène Green - nasce da una doppia ispirazione. Da un lato, il desiderio di evocare con i mezzi del cinema l'opera e la vita dell'architetto barocco Francesco Borromini. Dall’altro, un interesse per l'architettura e l'urbanesimo contemporanei".
Presentato in anteprima italiana al Torino Film Fest,
La Sapienza racconta il viaggio in Italia dell’architetto parigino Alexandre (Fabrizio Rongione) con sua moglie Aliénor (Christelle Prot Landman) e del loro incontro a Stresa con due fratelli del posto, Goffredo (Ludovico Succio) e Lavinia (Arianna Nastro). Il percorso dei primi, volto a ritrovare le emozioni che in gioventù avevano portato Alexandre a intraprendere la carriera di architetto, si interrompe quando Aliénor decide di fermarsi a Stresa per stare con la ragazza, che soffre di una malattia di origine nervosa, e suggerisce al marito di continuare il suo cammino con Goffredo, prossimo agli studi di architettura. Così, insieme ai due protagonisti, lo spettatore ripercorre i capolavori del barocco italiano: dal Ticino, terra natale del Borromini, a Torino per un’immersione nel barocco piemontese di Guarino Guarini. Fino ad arrivare a Roma, dove il Borromini ha realizzato le sue opere maggiori: la chiesa e il chiostro di San Carlo alle Quattro Fontane, la Basilica di San Giovanni in Laterano e infine il complesso di Sant'Ivo alla Sapienza, da cui è tratto il titolo del film.
Il sentimento ritrovato tra i due coniugi, l’affetto dei due fratelli e soprattutto la passione per l’arte e per l’architettura: una storia in cui l’amore è centrale in tutte le sue forme, oltre che un’occasione per rivedere sul grande schermo alcuni dei tesori più preziosi del nostro territorio, riscoprendoli attraverso l’entusiasmo dei protagonisti.

Paola Menaldo - domusweb.it

   In quella densissima raccolta di aforismi e riflessioni che è Aurora, Friedrich Nietzsche scrive: «Si odono soltanto le domande a cui siamo in grado di rispondere». Un’inquadratura perfetta della modernità, dove l’ascolto di se stessi è continuamente messo a repentaglio da quello che, sempre Nietzsche, definisce la «precipitazione indecorosa e sudaticcia». La fretta, gli affanni. Parte da questo recupero della giusta distanza dalle cose il film di Eugène Green, La Sapienza in concorso a Locarno e realizzato con il contributo del Ministero dei Beni Culturali (Sarraz Picture e Mact Production). La storia è quella di Alexandre (Fabrizio Rongione, attore belga di genitori italiani amato dai fratelli Dardenne, architetto parigino al culmine di una prolifica carriera, il quale decide di intraprendere un viaggio in Italia. Sensibile al messaggio subliminale che legge in questo bisogno di «distanze» da parte del marito, la moglie Aliénor (Christelle Pot Landman) decide di accompagnarlo. Un tuffo nell’ignoto, perché il loro legame si è sensibilmente indebolito. Giunti a Stresa, incontrano una giovane coppia di fratelli del posto, Goffredo e Lavinia (Ludovico Succio e Arianna Nastro): un incontro, una specie di «contaminazione» che metterà in moto qualcosa, perché, tornando a Nietzsche, «Non si deve restare attaccati a una persona: fosse anche la più amata – ogni persona è un carcere e anche un cantuccio». Così la coppia ritroverà l’equilibrio in un intervallo, in un allontanamento che serve a schiarire lo sguardo: Aliénor resterà a Stresa accanto a Lavinia, afflitta da una malattia di origine nervosa, lasciando che il marito prosegua il suo viaggio con Goffredo, verso Torino e Roma. Una metafora della conoscenza dell’altro attraverso la coscienza di sé (Aliénor scopre un celato istinto materno, Alexandre una predisposizione all’amicizia complice) che però si dipana in una traiettoria tracciata dal grande architetto Francesco Borromini. La Sapienza infatti è un preciso riferimento alla chiesa romana di Sant’Ivo alla Sapienza, uno dei progetti più straordinari di Borromini (peraltro ticinese di origine — era nato a Bissone — e dunque vicino alla cultura di Locarno). Per chi non la conoscesse, la chiesa, edificata intorno alla metà del XVII secolo, fu una sorta di manifesto «libertario» dell’architetto: la pianta originaria infatti prevedeva un edificio a pianta circolare con delle cappelle. Borromini spariglia le carte e crea un’armonia di pieni e vuoti che vanno a confluire in un cerchio perfetto ma non facile, a cui si arriva tramite numerosi accorgimenti architettonici. La chiarezza, insomma, è frutto di un percorso accidentato e spesso alimentato dalle distanze poste al momento giusto, un po’ come le costolature della cupola di Sant’Ivo. E, forse, frutto di certe corrispondenze invisibili che si vengono a creare nella storia. Proprio in Ticino, Nietzsche concepirà La nascita della tragedia, primo passo nella codificazione del suo celebre Oltreuomo

Roberta Scorranese - living.corriere.it




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La vicenda ruota intorno alla figura di un architetto parigino Alexandre (Fabrizio Rongione) che ha perso l’ispirazione e va in cerca delle motivazioni che in gioventù l’hanno spinto ad intraprendere la professione; ad ammaliarlo furono il barocco e i suoi artefici: il Guarini a Torino e il Borromini a Roma (il titolo richiama uno dei progetti più straordinari realizzati dal Borromini: la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza). Ma il film narra anche e soprattutto della storia d’amore che si sviluppa in parallelo tra architettura, ispirazione artistica e naturalmente i sentimenti, contrastati che animano Alexandre, sua moglie e due fratelli Goffedo e Lavinia, incontrati a Stresa. Una storia, in cui l’amore è centrale in tutte le sue forme e che si trasforma, per lo spettatore, in un’occasione per rivedere sul grande schermo alcuni dei tesori più preziosi del nostro territorio, riscoprendoli attraverso l’entusiasmo dei protagonisti.

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 LUX - novembre 2014

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