Chi
ha paura di Eugene Green? Perché relegare (la parola non è esagerata)
nella sezione cadetta Forum un personaggio che è tra i più
originali del panorama cinematografico contemporaneo? Perché non fare
tesoro dell'esperienza di Locarno, dove il suo precedente film,
La Sapienza,
anche lì fuori concorso, non era passato certamente inosservato?
E dove potrà arrivare questo signore americano naturalizzato francese
che dopo vent'anni di studio e di pratica del teatro barocco (Molière
e Racine tanto per capirsi) ha deciso di applicarne i risultati al
cinema con effetti sorprendenti? Anche perché, pur mantenendo gli
stilemi recitativi de
La Sapienza
(recitazione estraniata, brechtiana si sarebbe detto una volta,
francese aulico, inquadrature frontali),
Le fils de Joseph
è un'opera molto più fruibile e divertente, con un finale a ritmo di
vaudeville; una storia complessa e articolata, con un bonus extra: la
incursione satirica nel milieu letterario-artistico francese (con cui
evidentemente Greene, outsider per vocazione, deve avere il dente
avvelenato). E mentre nell'opera precedente i riferimenti colti
rimanevano nell'ambito dell'architettura, qui sono biblici e mettono a
dura prova le capacità interpretative dello spettatore.
Il film è infatti diviso in cinque capitoli:
Il sacrificio di Abramo, Il
vitello d'oro, Il sacrificio di
Isacco, Giuseppe falegname,
La fuga in Egitto.
L'adolescente Vincent (Victor Ezenfis), il protagonista, è stato
allevato con amore da sua mamma Maria (Natacha Regnier), che però si è
sempre rifiutata di rivelargli il nome del padre. Maltrattato, escluso
dagli amici (peraltro impegnati in un improbabile, forse simbolico,
business di vendita di sperma su internet), passa il tempo nella sua
stanza letteralmente "illuminata" da una replica del dipinto di
Caravaggio: Il sacrificio di Isacco.
Quando il ragazzo però scopre che il padre è Oscar Pormenor (Mathieu
Amalric), un famoso editore parigino cinico ed egoista, plurisposato e
padre di altri figli, si introduce nel suo studio per vendicarsi e
arriva quasi a tagliargli la gola con un coltellaccio in
un'incredibile replica rovesciata del suo quadro feticcio. Le cose si
complicano ulteriormente quando Vincent viene scambiato da Violette (Maria
de Medeiros), musa ispiratrice e talent scout dell'editore, per un
giovane promettente scrittore, scatenando l'avidità del padre che, non
sapendo chi è, vorrebbe metterlo sotto contratto. Per un altro twist
del destino, il ragazzo si imbatte all'uscita dello studio in Giuseppe
(Fabrizio Rongione), fratello fallito e disprezzato di Oscar, a cui
sta andando a chiedere un prestito per trasferirsi in campagna
seguendo un suo sogno bucolico. Tra i due nasce una curiosa amicizia;
passeggiano per Parigi (le ambientazioni sono sempre molto
significative e ben fotografate, così come ne
La Sapienza
lo erano quelle del Lago Maggiore e di Roma), visitano il Louvre. Ed è
proprio qui, di fronte al Giuseppe Falegname di Georges de la
Tour, la rivelazione: la paternità non è solo quella del sangue, ma
anche quella della scelta e della presenza. Vincent porta Giuseppe a
casa e si prospetta un embrione di famiglia basata finalmente
sull'amore. Simbolica la frase del ragazzo: "Tu sei un uomo buono,
insegnami ad essere buono". Invece della vendetta sul "vecchio"
padre, la ricerca di un padre nuovo.
Quando i tre si recano a visitare la casa di famiglia dei due
fratelli, dove invece è in corso un party mondano-letterario
(l'adorazione del Vitello d'oro) dato da Oscar e Violette, le cose
precipitano, con un finale quasi da film d'azione, con tanto di
inseguimenti della polizia e addirittura l'apparizione di un
elicottero e dell'asino Nenette (La fuga in
Egitto)! Applausi.
Tecnicamente c'è un'altra eccentrica scoperta di Green: variare
continuamente la dimensione dei personaggi uno nei confronti
dell'altro; diventano giganteschi o lillipuziani a seconda di quello
che dicono o si sentono dire. L'effetto straniante è di nuovo
assicurato.
Le fils de Joseph
è un film completo, con un cast di qualità forse anche per merito
dell'attiva collaborazione dei fratelli Dardenne (ormai diventati una
specie di nume tutelare di chiunque in Europa abbia le carte in regola
ma non i mezzi per fare un buon cinema) e dovrebbe assicurare a Eugene
Green un successo anche di pubblico.
PS: Per
capire l'intelligenza del regista e la finezza nella conoscenza del
francese (lingua peraltro impenetrabile agli influssi stranieri, basti
pensare che chiamano l'AIDS "SIDA" e il
computer "ordinateur"!), lasciatemi
citare questo esempio: di fronte all'uso esagerato soprattutto da
parte dei giovani dell'anglicismo "cool",
lui si permette di mettere in bocca a un personaggio "ça
c'est fresh"! Chapeau!!!
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