Bertrand Tavernier
è un ex critico
cinematografico che, passato dietro lo schermo e dietro la
macchina da presa, riesce, con aguzzo eclettismo, a mettere a
fuoco romanzi, drammi storici, repertori cinefili e a inquadrare,
spesso, con una cinepresa mobile, inquieta, ma mai nervosa,
segmenti di realtà, sezioni del tessuto sociale. Cronache di
povera gente, dignitosa, testarda, coerente, ancora capace di
assumersi delle responsabilità e di mantenere degli impegni.
Soprattutto quando le istituzioni, i regolamenti e i meccanismi
della società cedono per inerzia, si inceppano per un'impotenza
diffusa. Daniel è il pugnace direttore e insegnante di un asilo
in una cittadina ex mineraria nella regione di Valenciennes. Una
zona depressa e sottosviluppata, con una percentuale altissima di
disoccupati. La macchina del cinema, gli attori professionisti
(su tutti emerge Philippe Torreton), le convenzioni della
finzione reagiscono, chimicamente, con vicende verosimili di
bambini e genitori difficili, buoni per la mensa, lentezze
dell'assistenza pubblica, suicidi familiari, alcoolismo,
tenerezze didattiche, abitazioni miserabili, feste scolastiche,
degrado e sopravvivenza con tazze di latte e biscotti secchi.
Senza retorica. |
E' un film tosto, per nulla alla moda,
Ricomincia
da oggi; e certo il titolo italiano - mutuato dall'originale Ca
commence aujourd'hui - non aiuta a veicolarlo presso il
grande pubblico. Eppure è impossibile non uscirne commossi, nel
senso migliore della parola, perché la cronaca di questo
tribolato anno di scuola fa appello alla testa e al cuore degli
spettatori, senza ricatti sentimentalistici, pescando nel vissuto
vero di quella martoriata città, proponendosi come una sfida
alla rassegnazione, all'ottusità. "Dai nostri padri
abbiamo ereditato mucchi di pietre, e il coraggio di
sollevarli", recita infatti la voce narrante di Daniel
nell'ultima scena, e verrebbe, quasi voglia di abbracciarlo, e
con e con lui il vero maestro Dominique Sampiero, la cui vicenda
ha fatto da spunto al film. Recensendolo da Berlino, il nostro
Alberto Crespi ne parlò come «della versione francofona di Diario di un maestro, mitico sceneggiato Rai con Bruno Cirino».
Giusto. Ma si potrebbe citare anche il Jon Voight del dimenticato
Conrack di Martin Ritt. In effetti, Daniel appartiene a
quella nobile schiatta, eroica suo malgrado, di insegnanti
cocciuti e ribelli che lottano per cambiare le cose.
Infischiandosene delle circolali ministeriali, degli ispettori
pomposi, dei soldi che mancano, dell'assistenza sociale a
corrente alternata. Simile nella struttura libera e
semidocumentaristica a L. 627, dove si raccontava la vita di una squadra di
poliziotti antidroga, Ricomincia da oggi trasforma il
povero e coloratissimo asilo in una sorta di trincea umana contro
Io spappolamento sociale. Daniel, aspirante scrittore alle prese
con un padre in fin di vita e una fidanzata artistoide con
figlio, ci appare sin dall'inizio come il parafulmine di tutte le
tensioni. A volte sbaglia, non riesce a evitare il suicidio di
una mamma e dei suoi figli, arriva a un passo dal mollare, ma noi
sappiamo - speriamo - che alla fine resterà con i suoi
ragazzini. Girato a luce naturale, sfruttando il contrasto tra la
bellezza di quei paesaggi e le dure condizioni di vita,
Ricomincia
da oggi utilizza ovviamente attori presi perlopiù dalla
strada (e dall'asilo): ed è sorprendente vedere come Torreton,
Pitarresi e gli altri interpreti «professionisti» interagiscono
con la popolazione locale. "Le scuole elementari non sono
forse la culla di una nazione?", si domanda
retoricamente Tavernier. |
Sottovalutato a Berlino, premiato dal
pubblico di San Sebastiàn, questo é un film nato per caso. E da
una conversazione fra Tavernier e l'amico Dominique Sampiero,
maestro d'asilo e poeta, che uscì l'idea di una cronaca
aggiornata e disincantata dal mondo prescolastico. Le scelte di
fondo sono le stesse collaudate con
Legge
627 (1992), non il miglior film
di Tavernier - noi almeno gli preferiamo L'orologiaio di Saint-Paul, La morte in
diretta e Colpo di spugna - ma certo quello che meglio rappresenta
l'universo espressivo e morale del regista francese: una sintesi
personale tra fiction e documentario, una messa in scena più
sollecitata al momento che costruita prima, ottenuta inserendo
alcuni professionisti in un ambiente che resta com'era;
operazione che gli consente aderenza alla realtà senza fare ciò
che Victor Hugo rimproverava a Émile Zola, e cioè "turismo
nella miseria umana". Il film prende posizione suggerendo
responsabilità individuali, collettive e politiche per una
situazione di degrado che relega la scuola a parcheggio dei
piccoli da parte di nuclei familiari sfaldati e incoerenti. Ma
l'autore evita giudizi trancianti e unilaterali, consapevole che
i mali di una società non sono riconducibili a pochi colpevoli.
ll punto di vista sugli eventi é quello di Daniel, che coincide
solo in parte con ciò che percepisce lo spettatore. Tavernier,
quasi a ribadire costantemente l'ambivalenza di Daniel,
osservatore privilegiato ma anche attore nelle vicende narrate,
limita i primi piani, colloca la mdp a media distanza e lo
inserisce spesso ai margini delle inquadrature. Non ci presenta
un eroe, ma un educatore che svolge con passione il proprio
lavoro e che fatica come tanti per trovare equilibrio nella vita
privata. Non a caso lo interpreta Philippe Torreton, già in
prima linea contro i tedeschi nei panni del magnifico capitano
Conan di una precedente pellicola di Tavernier, e qui di nuovo in
trincea per combattere i mali interni del sistema socio-educativo
francese. Un personaggio che nei momenti di spensierato
disincanto ricorda quel monsieur Malausséne creato da Pennac e
che tanto ha inciso sull'immaginario del popolo transalpino; un
Don Chisciotte, solo più consapevole dei limiti del proprio
idealismo, esattamente come Tavernier. |