Se la produzione italiana sembra risvegliarsi dal torpore del qualunquismo
(La bella vita,
Il toro,
Il postino) e il cinema USA ribadisce la
propria potenza commerciale passando con nonchalance da "boiate pazzesche"
(The Flintstones,
Lo specialista) alla "parabola" storico-morale
di Forrest Gump, che dire dell'inossidabile
personalità dei film britannici? Quattro
matrimoni e un funerale e Viaggio in
Inghilterra si scambiano la palla nel deliziare il pubblico
con stili e tematiche diversi, ma con la stessa professionalità
autoriale e il medesimo savoir-faire nel giocare coi sentimenti dei personaggi
e con le emozioni dello spettatore.
Four Wedding And A Funeral
(una volta tanto il titolo italiano corrisponde a quello originale) mentre
fa l'elogio della frivolezza britannica e descrive con allegra perfidia
la ritualità delle cerimonie matrimoniali che
cadenzano il "distratto" vivere di Hugh Grant e dei suoi amici
snob, smantella ironicamente le certezze da scapolo del protagonista facendogli
incontrare l'affascinante americana Andie MacDowell. L'imbarazzo sentimentale
britannico e la disinibita intraprendenza yankee faticano a sintonizzarsi
sulla lunghezza d'onda del vero amore, necessitano di tempo e di esperienze
(quattro matrimoni e un funerale per l'appunto), ma dopo averci regalato
innumerevoli spunti divertenti e qualche azzeccato momento di sorridente
amarezza (su tutti il discorso funebre tratto da una poesia di W.H.Auden)
Mike Newell e l'ottimo sceneggiatore Richard Curtis hanno ancora la sfrontatezza
di stupirci con un epilogo pragmatico e sornione: una volta trovato il
coraggio per interrompere un matrimonio sbagliato, come osare di presentarsi
ad un'altra celebrazione così "rischiosa" quando la passione
del sentimento garantisce un romantico futuro?
Allo stile delicatamente libertino di Quattro
matrimoni e un funerale si contrappone in Viaggio
in Inghilterra
l'austera (e realmente vissuta) storia d'amore tra lo scrittore Clive
Staples (Jack) Lewis e la poetessa americana Joy Gresham: lei (Debra
Winger), reduce da un divorzio si è trasferita in Inghilterra
col figlio adolescente, lui (Anthony Hopkins), impeccabile
professore di lingua e letteratura
inglese ad Oxford, ne apprezza subito la fresca sensibilità e
si fa convincere a sposarla civilmente per farle ottenere la cittadinanza
britannica. La loro resta una simpatica amicizia fino a
quando Joy non si trova condannata da un tumore osseo: di fronte all'improvvisa
tragedia Jack scopre in sé un amore adulto e appassionato e la
profonda religiosità dei suoi scritti ("il dolore è
il megafono di Dio che risveglia un mondo sordo") deve mettersi
d'un tratto a confronto con la drammaticità del vivere, rigenerando
la sua esistenza in un'"umanità" non più soltanto
"teorica" ma vissuta in concreta, personale sofferenza ("prego
perché sono impotente, perché non posso farne a meno:
questo non cambia Dio, cambia me"). Con la sua Joy ha giusto
il tempo per una rigenerante luna di miele tra la splendida campagna
dell'Herefordshire ("il dolore di domani fa parte della felicità
di oggi"), poi gli resterà solo la consolazione
del figlio col quale stringersi in un accorato abbraccio.
Denso di letterarietà, ma impeccabile nella trasposizione cinematografica
(lo sceneggiatore William Nicholson è lo stesso autore della pièce
teatrale originaria, Shadowlands),
Viaggio in Inghilterra
di Richard Attenborough rivitalizza la classicità del cinema riscoprendo
i ritmi pacati, la recitazione intensa, la delicata raffinatezza del cinemascope
che, ancora una volta, mentre si sofferma ad inquadrare i suoi personaggi,
ne approfitta per avvolgere con empatica commozione il pubblico in sala.
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