Tra i tanti premi collaterali della Mostra del
cinema di Venezia, il Ciak d'oro, assegnato a
La bella vita,
quale miglior film presentato nel Panorama italiano, è forse quello che
ha trovato quest'anno la maggiore unanimità di consensi. L'opera d'esordio del
trentenne Paolo Virzì
si segnala infatti sia
per la per la professionalità degli interpreti, sia per la solidità
della struttura narrativa, visto che il regista, livornese, ha pensato
bene di narrare una storia vicina alla propria realtà, non avulsa
dal contesto umano e sociale della quotidiano: siamo a Piombino, Bruno
(Claudio Bigagli) e Mirella (Sabrina Ferilli) sono una coppia modesta ma
felice. Lui lavora come operaio all'acciaieria, lei fa la commessa al supermercato.
La serenità inizia a sgretolarsi quando Bruno finisce in cassaintegrazione,
a fare la bella vita. I suoi amici gli propongono di mettersi in
proprio, di tentare finalmente la fortuna ("Il rischio c'è.
Ma che ci deve andare tutto male nella vita?"), ma lui è
incerto, smarrito ("Come stai? Sto da cassaintegrato. Forse è
la cassa che deprime. Anticipa la cassa da morto"). La botta finale
gli arriva quando scopre che Mirella ha una relazione con Gerry Fumo (Massimo
Ghini) smaliziato conduttore televisivo di una rete locale. Sarà
l'inizio di una profonda crisi coniugale che costringerà Bruno e
Mirella a confrontarsi con se stessi, a litigare e riappacificarsi, ma
che non garantirà più l'armonia di un tempo.
La bella vita
non è certo un film perfetto e le incertezze
dell'opera prima vengono spesso alla luce: l'uso sornione della voce narrante
per ovviare alle discontinuità del ritmo narrativo, la linearità
un po' accademica delle inquadrature, il timore-incapacità di affrontare
una descrizione più "mossa" dell'ambiente. Ma ciò
che conta è che i personaggi di Virzì hanno un'anima e il
suo "melodrammino" ha più cuore che retorica. E non lasciatevi
ingannare dai trucchi della campagna promozionale che puntano sulla sensualità
della Ferilli promettendo un film "carnoso e carnale".
Virzì solo talvolta si lascia trasportare dalla foga "adulterina"
di Gerry e Mirella; per il resto
La bella vita è un film
garbato e "sommesso": lo si vede volentieri, se ne apprezza la
credibilità, spesso piacevolmente coivolti dall'umanità del
racconto, dal gioco minimo della commozione.
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