Le
vacanze sono il luogo fisico e mentale in cui si incontrano le due Italie,
quella "di destra" e quella "di sinistra", di solito ben attente - nei
bar, sui treni, sui taxi, negli uffici - a schivarsi e a rivolgersi poco
la parola, se non quando strettamente necessario.
E non è certo un caso se per farle incontrare in vacanza Paolo Virzì
ha
scelto Ventotene, la bella isola delle Ponziane dove i fascisti sbatterono
al confino personaggi come Pertini e Longo, Altiero Spinelli e Camilla
Ravera, e che in Ferie d'agosto ospita per il breve confino delle vacanze
due tribù molto diverse: quella del popolo di sinistra, capeggiata da
Silvio Orlando, e quella del popolo di destra, il cui duce è Ennio
Fantastichini.
La tribù di Orlando è composta di coppie allegramente sgangherate, madri
lesbiche, adolescenti fumati, attori disoccupati, ragazze dal passato
misterioso, sbruffoni giramondo ("organizzo workshop nel terzo mondo").
Quanto al leader del gruppo, è un intellettuale, commentatore dell'Unità
con qualche vizietto snobistico e una compagna con figlioletta piccola che
non rende felice e aggredisce verbalmente perché usa aggettivi leziosi o
fuori posto per l'insalata o i pomodori.
La tribù di Ennio Fantastichini - proprietario di un negozio di armi e
forse "cravattaro", violento, ma con una pena d'amore segreta che continua
da quindici anni per la bella cognata Sabina Ferilli - è cafona, piena di
ori, di vestiti firmati, di gusto per il rumore: insomma, quelli che
tengono il motore del fuoribordo acceso nelle tranquille calette e
inquinano come possono i territori comuni.
Simmetricamente diverse le case vicine che i due gruppi occupano a
Ventotene. Una parla di nostalgia degli anni 70 - senza luce, doccia
casalinga, tavolate di piatti scompagnati, e ovviamente niente di tv.
L’altra è tirata a lucido e ha un'antenna installata per l'occasione. In
una si suona la chitarra a lume di candela (ma davvero si canta ancora
Bella ciao, anche a sinistra?), nell'altra si guarda la tv.
Paolo Virzì dispone brillantemente le pedine della sua commedia, che ha
scritto con Francesco Bruni e
Ferie
d'agosto
- più divertente e meno sottile del film di debutto di Virzì,
La bella vita
- rinnova con stile un genere come la "commedia all'italiana" che sembrava
scomparso o, a scelta, perso in un'ondata di volgarità e/o di pensiero
debole.
La bravura di Virzì, del suo cosceneggiatore e dei suoi attori
(spettacoloso Fantastichini, bravo Natoli nel ruolo del cognato
vigliaccone, bella e brava come sempre Sabrina Ferilli), sta nell'idea
portante del confronto tra le due Italie, ma anche nel non esagerare,
nell'essere plausibile, nell'avere orecchio al linguaggio, nel rivelare
ovvie simpatie (be' sì, per Orlando & Co), ma nel vedere i difetti degli
uni e degli altri. Anche se è vero che maltrattare la propria morosa ed
essere settario è certo una colpa, ma sparare a un immigrato africano per
divertirsi è forse un po' peggio.
Nel divertimento e nel ritmo da commedia di Ferie d'agosto, però, Virzì sa
anche insinuare qualche momento di tenerezza e malinconia. La (finta)
lettura che Antonella Ponziani fa di una favola in cui si leggono in
trasparenza le ragioni che l'hanno spinta, anni prima, a lasciare Silvio
Orlando, e con lui la speranza/paura di una vita troppo regolare. I
desideri espressi da tutti i personaggi sotto le stelle cadenti d'agosto
(c'è, o sbaglio, un affettuoso omaggio ai Taviani di
La notte di San Lorenzo?).
La scena d'amore, così reale, tra Orlando e la bella Laura Morante.
Virzì rielabora abilmente gli stereotipi della commedia le sue maschere,
le sue situazioni, schivando sempre il rischio della caricatura (ma
cadendo qualche volta in anacronismi di costume). Peccato che ceda a un
piccolo errore di ottimismo conciliatorio nel finale. Dopo una vacanza
così le cose non si aggiustano, anzi. Né quelle private né tanto meno
quelle pubbliche. Le Italie si mescolano ma restano impermeabili.
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Stiamo
attenti, signori critici, a non prendere troppo dall'alto un film come
Ferie
d'agosto,
opera seconda del toscano Paolo Virzì. Si corre lo stesso rischio in cui
inciamparono molti recensori dei primi anni '50, di fronte a
Domenica
d'agosto
di Luciano Emmer modello dichiarato del giovane autore di
La bella vita.
Se ci viene la voglia di dire, come allora, che il film è bozzettistico,
manierista e non spiega le vere cause dei conflitti sociali, riflettiamo
che nel 2010 (e magari prima) i giovani studiosi ravviseranno in queste
scene da una vacanza (come appunto accaduto per il film balneare di Emmer,
un ritratto spiritoso ed eloquente della società italiana d'oggi: avviata
sempre più a dividersi (lo pretende il voto maggioritario) nelle due
opposte tribù di quelli che leggono e quelli che guardano la tv, quelli
che si preoccupano della fame nel mondo e quelli che hanno in mente solo
il loro "particulare", quelli che ancora sperano nella politica e quelli
per cui (come diceva Flaubert) "vendere e comprare è lo scopo della vita".
Il merito del film d i Virzì, scritto con Francesco Bruni, è di mantenersi
al di sopra delle parti: sui due clan in vacanza, di destra e di sinistra,
riuniti dal caso a convivere vicini sull'isola di Ventotene, gli autori si
accaniscono con imparziale ironia per approdare tuttavia a un giudizio
sospensivo di tipo assolutorio. Su un fronte si canta "Nostra patria è il
mondo intero", sull'altro "La società dei magnaccioni"; questi fumacchiano
hashish, vanno in giro nudi e si concedono altri capricci libertari,
mentre il capofamiglia degli altri tenta di imbrogliare un "vu cumprà" e
addirittura gli spara per impaurirlo. Forse la trama sociologica tende a
sbiadire nell'incalzare delle singole vicende: ci sono troppe storie
intrecciate di coppie male assortite, di velleità d'ogni genere, di
frustrazioni, di delusioni precoci. In sottofinale si sfiora addirittura
la tragedia... |