Le passeggiate al campo di
Marte
(Le
promeneur du champ de Mars) |
da L'Unità (Dario Zonta) |
Robert Guédiguian fa con Le passeggiate al campo di Marte un ritratto di Francois Mitterrand negli ultimi momenti della sua vita e carriera. Ispirato al libro Le dernier Mitterrand di Georges-Marc Benamou, il film tratta il rapporto che ha realmente legato l'autore del libro e il presidente francese. La storia vuole che Mitterrand, alla fine del secondo settennato, stretto dalla malattia mortale, abbia eletto un giovane giornalista politico come suo biografo di memorie e confessioni. Guédiguian scarnifica il libro di tutte le questioni private e della cronaca politica spicciola, per selezionare i momenti più intensi di una relazione che si fa specchio memoriale e deformato dell'ultimo «monarca» francese. A interpretarlo con perfetto mimetismo è Michel Bouquet (lo si ricorda magistrale nel vendicativo assicuratore in Stephane di Chabrol), che regge da solo tutto il film, fatto di lunghe passeggiate e lunghe chiacchierate in una sorta di storia orale di messa in scena teatrale. Guédiguian è tra i pochi registi francesi a fare del cinema una continua interrogazione politica sui problemi del presente. Da posizioni dichiaratamente di sinistra e con risultati discontinui ha composto una filmografia varia e stravagante, da Marius e Jeanette a A l'attaque, da La ville est tranquille a questo ultimo. I suoi film sono spesso colorati di un idealismo militante un po' sempliciotto e buonista, che sovente compiace la parte pigra dell'uditorio radical-chic di sinistra, perché lo mantiene in convinzioni stereotipate, senza infastidirlo con domande vere e temi complessi. Ma con Le passeggiate al Campo di Marte, il regista abbandona Marsiglia e la retorica, per un dipinto a olio di grigio scuri. Fare i conti con Mitterrand vuol dire, per Guédiguian e per la sinistra francese, confrontarsi con una figura complessa, un uomo dalle tante sfaccettature e dalla lunga storia. Il film passeggia in lungo e in largo per i viali di questa storia, dandone per scontata la conoscenza. Per chi non l'avesse fresca, la fruizione della trama sarà ostica. E allora eccola per sommi capi e in funzione sussidiaria alla comprensione del film: da giovane Mitterrand opera nell'organizzazione della destra francese antitedesca, ma non antisemita; durante la guerra è stato prima prigioniero dei tedeschi e poi, fuggito, ufficiale del governo collaborazionista di Vichy del maresciallo Pètain; nel '42 entra nella Resistenza al servizio di De Gaulle; nel 1947, a soli 31 anni, è il più giovane ministro di Francia; nel '57, da Ministro degli Interni, professa la sua linea dura sulla questione algerina; diventa l'avversario storico del generale De Gaulle (padre della Quinta Repubblica), e ne mette in crisi il primato nelle prime elezioni presidenziali del 1965; raccoglie nel 1971 le diverse anime della sinistra in una nuova formazione unitaria, il Partito Socialista; nell'81 diventa presidente della Repubblica con un accordo con i comunisti, accordo che ribalterà qualche anno più tardi (provocando profondo rancore nelle fila comuniste e nel cuore di Guédiguian); copre la carica per due settennati, morendo poco dopo di un cancro che lo attanagliava sin dall'81. Durante le «passeggiate», Mitterrand evoca e attualizza questi momenti, incalzato dal giovane giornalista, che incarna le domande e i dubbi dello stesso Guédiguian, soprattutto quelli relativi all'epoca di Vichy. Ne esce un ritratto rispettoso e di postuma rivalutazione, che tiene aperto solo il piano politico del Presidente, tralasciando i vizi e i vezzi dell'uomo.
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da Il Manifesto (Roberto Silvestri) |
Ed è anche un testamento all'arte di Michel Bouquet. Lo stupendo attore (di Chabrol, soprattutto) non imita ma attraverso lo svuotamento di segni e espressioni lascia che sia lo spettatore a farsi il suo Mitterrand, a mettere nella forma voluta la «sostanza di quell'uomo» che cancellò dalla Francia la pena di morte e certo inventò la «festa della musica», ma iniziò anche a sbriciolare lo stato sociale, utilizzando una sostanza conoscitiva ricca, stipata in due ore dagli sceneggiatori, Gilles Taraund e lo stesso Georges-Marc Benamou. C'è quasi tutto: il socialismo post Sfio, le lotte e le conquiste sociali; le nazionalizzazioni («ma Jospin e Rocard rovineranno tutto»), la vita d'oggi («senza Rimbaud, indecifrabile»), l'amore («consiglio le nordiche, sono più profonde, e le brune: le bionde esistono solo sulle copertine dei settimanali. Meglio ancora, le attrici»); Petain, Vichy & il mistero Bousquet («avevo 26 anni...» ma fa capire che Vichy poteva anche incarnare lo spirito malato di Francia, ma il Velodromo d'inverno, di certo, no. Strano che abbia però sempre protetto Bousquet, che delle retate di ebrei fu impunito regista), De Gaulle, la moglie («lei adora, dei libri, soprattutto le copertine»); la letteratura (Balzac, Stendhal), il centrismo («si vince solo dando una alternativa di sinistra»), l'antisemitismo («che ho sempre combattuto»: ma non quando simpatizzava per la Cagoule?), il tradimento («i nemici mi odiano perché sono un borghese di cultura cristiana che ha tradito la propria classe. La destra non vede l'ora di riprendersi il potere che considera naturalmente suo»), il pessimismo («il sogno socialista non è più credibile. Dopo la mia generazione non si tutelerà più il lavoratore, ma il profitto, globale nel più breve tempo possibile»). Bousquet interpreta con precisione millimetrica i mille toni e sottotoni del «florentien», del più machiavellico uomo politico transalpino, che non solo a Charkes Peguy e Leon Blum si ispirò ma anche all'attore, alla sua tecnica di simulazione e alla sua «passione per l'indifferenza», per ascendere al potere e restarci per un tempo record. |
TORRESINO
- marzo 2005