da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich) |
Non potrebbe essere che nordico un film come Open Hearts, che discende diritto dalle anime purganti di Ibsen e Strindberg, per non parlare del cinema da Dreyer a Bergman. Anche se la regista Susanne Bier si dichiara in rotta con tutti questi illustri precedenti e per distinguersi adotta le moderne regole di Dogma (riprese in ambienti veri, sonoro in diretta, perfino le telefonate in arrivo ai personaggi devono essere reali) siamo in pieno nel solco della grande tradizione. L'influenza più riconoscibile è Lars von Trier (la società produttrice e la sua Zentropa, l'ospedale che si vede nel film è quello di The Kingdom), ma lo scopo che il film raggiunge è di fare vedere quanto melò c'è nella vita di tutti i giorni e quanta vita c'è nel melò. Attori bravissimi recitano a cuore aperto la vicenda, sapientemente inconclusa, di un quartetto amoroso impossibilitato a risolvere i propri problemi.
|
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Mentre il suo fondatore, Lars von Trier, emancipa se stesso dalle regole del manifesto "Dogma" (luce naturale, suono in diretta...), esce il film di una regista danese che le rispetta invece rigorosamente: Open Hearts, moderna tragedia a quattro personaggi dove alcuni dilemmi morali-chiave sulla vita, la morte, l'amore sono riproposti in maniera anticonvenzionale. La sceneggiatura è imperniata su uno snodo-tipo: un fatto casuale le cui conseguenze sconvolgeranno la vita di due coppie. Prossimi alle nozze, Cecile e Joachim si amano e sono felici e contenti. Finché un banale incidente d'auto riduce Joachim allo stato vegetale. Allora Marie, che ha provocato il guaio, chiede al marito, medico nonché suo (fino ad ora) fedele sposo, di prestare aiuto alla sfortunata coppia. Cecile non tarda a innamorarsi del dottore e a diventarne l'amante, risvegliando l'interesse assopito dello spettatore che, per un po', ha temuto seriamente di dover assistere a una storia di sofferenza e sacrificio. Invece, Susanne Bier lo accompagna in territori d'ombra meno confortevoli ma più interessanti, obbligandolo a porsi degli interrogativi e a darsi delle risposte. Al suo ottavo film, la regista disegna una cronaca psicologica a cuore aperto, realistica e a tratti crudele, giocando sulle contraddizioni che - chi più, chi meno - riguardano ciascuno di noi. Invece di emettere giudizi o lasciarsi andare a semplificazioni moralistiche (ma evitando nel contempo gli atteggiamenti assolutori), mette in scena i conflitti tra desiderio e senso di colpa, responsabilità ed egoismo che tormentano i personaggi, bene interpretati da tutti gli attori. L'approccio semi-documentaristico alla materia psicologica, in parte risultato dei precetti "dogmatici", è originale e ha il vantaggio di raffreddare la materia melodrammatica del racconto.
|
da Film Tv (Enrico Magrelli) |
...Lars von Trier a Cannes 2003 ha chiuso e sepolto il capitolo dogmatico, ma quella carta di intenti continua a vivere come grammatica normativa, sintassi rigida (anche se non applicata sistematicamente) per Susanne Bier in Open Hearts. Un dramma degli affetti scritto con perizia, costellato di omaggi (non intenzionali secondo la regista, ma poco casuali) a Le onde del destino, Idioti, The Kingdom... |
i giovedì del
cinema
invisibile
TORRESINO
ottobre-dicembre 2005
PRIMA VISIONE
|