da Film TV (Emanuela Martini) |
L'uomo è discreto, non appariscente, quasi invisibile in mezzo ad altri uomini come lui, cappello a tesa stretta, impermeabile beige, occhialini tondi, giacca e cravatta. Un "uomo in grigio" come tanti, all'apparenza un prototipo dell'americano medio degli anni '50 e '60. Ma Edward Wilson è un uomo tutt'altro che medio, come gran parte degli altri che lo incrociano, con i quali scambia parole in codice e sguardi segreti: di origine ricca e colta, tra gli studenti più brillanti di Yale, con un codice etico rigorosissimo, Edward Wilson è un "patriota": selezionato già nel 1939, quando studiava poesia all'università, per entrare a far parte della "Skull and Bones" (una confraternita segreta della quale fanno parte i migliori rampolli dell'alta società, destinati a guidare le sorti del Paese), poi membro dell'OSS (l'Ufficio Servizi Strategici) durante la Seconda guerra mondiale, infine, subito dopo, tra i primi membri della neonata Cia, Central Intelligence Agency, spionaggio e controspionaggio, manovre volte a consolidare il potere internazionale degli Stati Uniti, azioni tese a preservarne la sicurezza nazionale. L'insignificante Edward Wilson è una spia di altissimo livello, da "stanza dei bottoni", non uno dei ruvidi esecutori che popolano i romanzi di Ellroy vive in un mondo fatto di segreti sconvolgenti, di tradimenti improvvisi, di sfumature percettibili solo da occhi e intelligenze vivissime. Un mondo dove la paranoia, la sfiducia, la solitudine sono la regola. The Good Shepherd comincia il 10 aprile del 1961, alla vigilia dell'invasione americana di Cuba e del suo fallimento. La vita del protagonista ha già attraversato la Seconda guerra mondiale e gli anni della Guerra fredda; la sua acuminata sensibilità giovanile e il suo idealismo integerrimo sono già stati levigati da un mestiere che impone continue scelte tra lealtà diverse, al Paese piuttosto che ai propri amici o ai propri figli o a se stessi. Questo passato, questo percorso attraverso un vita e un'America in caduta libera verso l'incubo paranoico e il vuoto ideale sono ricostruiti dai flashback che si intrecciano continuamente al presente, in una narrazione che coniuga la fluidità classica con un incessante flusso di coscienza e di memoria. Robert De Niro (che si è ritagliato una piccola parte simbolica) racconta la sua storia (elaborata dallo sceneggiatore Eric Roth sulla scorta delle confidenze di veri agenti della Cia) con una sicurezza acquisita dai suoi maestri (soprattutto Scorsese nel pedinamento ostinato del personaggio e nell'abilità dell'uso del flashback, ma anche il Coppola dell'interrogativo morale e del contorto, ambiguo fascino del potere) e con l'onestà già dimostrata con la sua prima regia, Bronx non strafà, non ricerca la decorazione o l'effetto, più interessato al dilemma morale che alla parabola ideologica. Eppure (aiutato da un intero cast in stato di grazia) ci restituisce un affresco storico che allunga le ombre e le sue minacce sull'oggi. |
da Il Mucchio Selvaggio (Luca Castelli) |
Gli Stati Uniti degli anni centrali del Ventesimo Secolo sono un serbatoio di intrighi e segreti inesauribile, a cui il cinema attinge con sempre maggiore regolarità. Ecco quindi che dopo i film su Truman Capote e Bobby Kennedy, ne arriva un altro focalizzato su un simile contesto storico. Seconda regia di Robert De Niro dopo l'ottimo Bronx, The Good Shepherd è un'ambiziosa carrellata su quasi trent'anni di storia americana, con più fiction che documentario, raccontata attraverso le bugie e i segreti del mondo dello spionaggio e del contro-spionaggio. Nonostante un cast robusto, con Alec Baldwin, William Hurt, Michael Gambon, John Turturro, Angelina Jolie e lo stesso De Niro, The Good Shepherd ha un unico protagonista principale: Matt Damon. È lui che seguiamo nei panni di Edward Bell Wilson, in un percorso che coincide con la creazione dei servizi d'intelligence americani: l'Office of Strategic Services prima, la Central intelligence Agency poi. Dai traumi d'infanzia all'iniziazione nella società segreta "Skulls and Bones", dalle prime esperienze di controspionaggio a Londra e Berlino fino alla Guerra Fredda e alla debacle nella Baia dei Porci (Thirteen Days), tutta la vita del protagonista corre sul filo del servizio - sempre più meccanico - per il suo paese. La spia Wilson è agli antipodi di James Bond: non beve Martini, non uccide e si concede meno funambolismi sotto le lenzuola (anche se più o meno tutte le donne del film bramano di portarselo a letto). Il suo lavoro si svolge soprattutto dietro una scrivania, oppure in infinite chiacchierate a bassa voce, tra diplomazia e mistificazioni. È un film lento, The Good Shepherd, e anche piuttosto lungo. La regia di De Niro è sicura, i temi trattati hanno un appeal naturale e anche l'espediente narrativo del video che rivela il responsabile del flop alla Baia dei Porci (che Wilson è chiamato a individuare) fa il suo dovere. Eppure il grado di coinvolgimento dello spettatore è praticamente nullo: si osserva interessati, ma poco emozionati. Forse gli manca l'appeal civile di altri film del genere, e nello stesso tempo la forza immaginifica delle pellicole di spionaggio tout court. Sta di fatto che l'obbiettivo di coniugare divertimento e narrazione di un certo livello non è del tutto raggiunto. Ed è un vero peccato. |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2007