Non uno di meno (Yi Ge Dou Bu Neng Shao)
Zhang Yimou – Cina 19991h 46’

CANNES - Palma d'oro

da La Repubblica (Irene Bignardi)

    Non uno di meno, guai a perdere uno studente. A sette anni di distanza da Storia di Qiu Ju, un altro Leone d'oro veneziano e un'altra storia "neorealista" incapsulata nella filmografia di un maestro del grande formalismo, Zhang Yimou ritorna apparentemente allo stesso mondo. Ma non è così. Come gli spettatori potranno vedere, la Cina è vicina o quanto meno è cambiata, si è avvicinata all'Occidente e ai suoi non si sa quanto apprezzabili modelli, o quanto meno ai simboli più banali dell'Occidente. E il film, nella sua grazia e nel suo divertimento, trasuda, a un primo livello di lettura, riconciliazione, pace dei sentimenti, persino ambiguità, come se Zhang fosse stanco di provocare e pungere, pago di raccontare un aneddoto divertente e vagamente deamicisiano. La piccola maestrina di Chichen? Succede dunque che un allievo particolarmente turbolento, Zhang Huike, scappa in città a cercare di guadagnare i soldi necessari per pagare un debito contratto dalla sua poverissima famiglia. Che fare? Prima di tutto qualche lezione di aritmetica applicata, in cui la classe calcola coralmente quanto bisogna lavorare a trasportar mattoni per poter conquistare i dieci yuan che sono necessari a Wei Minzhi per andare in città - e quando la classe passa all'azione, dio ci scampi dal disastro. Ma la testonissima ragazzina, che vuole tenere fede alla parola data e guadagnare il suo piccolo compenso, riesce comunque a calare in città, senza un soldo e senza un'informazione, per cercare il piccolo fuggitivo. E con ingenuità contadina e tenacia femminile, dopo essere rimasta accampata due giorni sotto la sede della locale televisione ed essersi fatta cacciare più volte, riesce a parlare con il presidente della stazione, a rivolgere il suo appello, e a ritornare festeggiatissima a casa con il suo "allievo"... Diversamente che per Storia di Qiu Ju, dove in una struttura non diversa la protagonista era la bella Gong Li infagottata in panni contadini, per Non uno di meno Zhang ha scelto i suoi interpreti secondo le buone vecchie regole del neorealismo a cui dice di ispirarsi qui - il maestro Gao è il vero maestro, Wei Minzhi si chiama proprio così, ha tredici anni ed è contadina, e via dicendo. Ma il progetto che impronta Non uno di meno (divertente, carino, godibile, curioso) è dissonante rispetto al taglio critico di Qiu Ju. In questo nuovo ritratto delle due Cine, quella rurale dove il massimo sogno dei bambini è di poter bere la Coca Cola, che viene delibata con religiosa attenzione, e quella della città in tumultuosa trasformazione verso modelli lontani, si direbbe che Zhang abbia deciso di rinunciare alla critica, e tutti sono buoni, generosi, protettivi - salvo, naturalmente, i burocrati, e forse la stessa Wei Minzhi, che si prodiga tanto anche per non perdere il compenso promessole dal maestro. Forse è la distanza che ci impedisce di capire bene se nel finale, quando la ragazzina torna al villaggio seguita dalla troupe televisiva, con tanto di sponsor e omaggi per tutti, Zhang metta ironia o compiacimento...

da L'Unità (Alberto Crespi)

    Circolano strane voci intorno a Non uno di meno, Leone d'oro a Venezia '99. Secondo qualcuno sarebbe «un film di regime». Fermo restando che è difficilissimo, anche per i sinologi (e forse persino per i cinesi), capire i meccanismi politici per cui certi cineasti sono ora perseguitati, ora sostenuti dal governo di Pechino, vi proponiamo un test. Mettete a confronto i 10 minuti finali, dove si compie un lieto fine (da non svelare) che potrebbe anche risultare consolatorio, con i 91 minuti precedenti, dove Zhang Yimou esplora una Cina rurale ferma al Medioevo, e dove i rituali del maoismo (come l'alzabandiera fatto dagli scolari cantando l'inno nazionale) sopravvivono in un contesto assolutamente «denghiano», in cui il denaro è tutto. Vi sorgerà spontanea una domanda, vedendo Non uno di meno: ma quando si svolge? Ebbene, si svolge oggi: quel villaggio poverissimo, senza luce né acqua corrente, senza strade asfaltate, dove un bambino di 10 anni scappa in città per trovare lavoro e diversi scolari dormono in aula perché non hanno casa, è un angolo di Cina del 2000. E non siamo nella Mongolia profonda o nel Tibet martoriato, ma nella provincia di Hebei, non lontanissimi da Pechino. In questo mondo post-maoista e pre-industriale, piomba nel villaggio di Shuiquan la tredicenne Wei Minzhi: è l'unica che abbia accettato dì arrivare fin lassù per far da supplente al maestro Gao, in congedo per assistere la madre malata. Per due mesi di lavoro, Wei riceverà 50 yuan, a condizione che non perda nemmeno un alunno: cosa, si vedrà, assai problematica. Inutile dire che all'inizio. Wei non sa da che parte cominciare: i ragazzini non le danno retta e lei non ha nulla da insegnar loro, ma la fuga in città di Zhang Huike, l'alunno più pestifero, fa scattare la molla. Un po' perché Wei ha promesso di mantenere intatta la classe, un po' per innata bontà, decide di andare alla ricerca della pecorella smarrita.
E qui comincia una seconda parte del film, allucinante quanto la prima: l'odissea di Wei nelle vie di Jiangjiakou, cittadona di provincia che a lei appare caotica e tentacolare. Sola, affamata, schifata da tutti, Wei tiene duro finché si compie un miracolo.
Non uno di meno ricorda molto da vicino
La storia di Qiu Ju: è un altro ritratto di donna testarda, capace di perseguire i propri obiettivi con la tenacia di un mulo e la rettitudine di un santo. Una lettura evangelica (la suddetta pecorella...) sarebbe fuorviante, in realtà Zhang Yimou compone un elogio della forza ancestrale del popolo, ritrovando tra l'altro nel romanzo di Shi Xiangsheng un tema - la scuola, l'educazione - che è centrale nel cinema cinese posteriore alla rivoluzione culturale (si pensi anche al Re dei bambini di Chen Kaige). Gli interpreti sono, tutti non professionisti e mantengono nel film i propri nomi: Wei. Minzhi è una vera studentessa, i bambini non avevano mai visto un film in vita loro. Non uno di meno è uguale alla propria protagonista, tenera e incazzata come una Rosetta cinese (è bello che Zhang e i fratelli Dardenne, con due film poveri e genialmente semplici, abbiano sbancato i festival del '99): sembra goffo ma ha una progressione emotiva invisibile e inarrestabile. E se alla fine vi scappa una lacrimuccia, non vergognatevene.

da Duel (Maurizio G. De Bonis)

     Tutta la vicenda è organizzata intorno ad una leggerezza narrativa stupefacente ed a uno stile realistico, caratterizzato da un tipo di immagine priva di orpelli estetici. Ma sono soprattutto alcuni aspetti caratteriali del personaggio centrale, quello della maestrina, che colpiscono profondamente lo spettatore: la sua caparbietà, il suo coraggio, il suo inconsapevole quanto fondamentale impegno sociale. La giovanissima insegnante infatti non sa che in Cina moltissimi bambini lasciano presto gli studi; solo la sua (quasi) ottusa coerenza la porta ad inseguire il ragazzino disperso in una metropoli ostile e caotica… Proprio in questo sta la grandezza di Zhang Yimou, cioè nell’aver rappresentato questa eroina delle campagne cinesi senza pietismi, trucchi narrativi e ammiccamenti verso il pubblico. Questo Attimo fuggente dell’estremo oriente, che inizialmente sembra quasi riprendere certi toni alla Vigo (Zero de conduite), lascia quindi un segno nello spettatore e può essere considerato uno dei prodotti più convincenti di questo regista che pur nella sua sostanziale incoerenza continua ad essere uno dei cineasti più importanti almeno degli ultimi dieci anni.

promo

Un angolo di Cina del 2000, non lontano da Pechino; un villaggio poverissimo, senza luce né acqua corrente, senza strade asfaltate, dove un bambino di 10 anni scappa in città per trovare lavoro e diversi scolari dormono in aula perché non hanno casa. Qui arriva la tredicenne Wei Minzhi: è l'unica che abbia accettato dì arrivare fin lassù come maestra supplente. I ragazzini non le danno retta, lei non ha nulla da insegnar loro, ma la fuga in città dell'alunno più pestifero, fa scattare la molla. Un po' perché Wei ha promesso di mantenere intatta la classe, un po' per innata bontà, decide di andare alla ricerca della pecorella smarrita...
La grandezza di Zhang Yimou sta nell’aver rappresentato questa eroina delle campagne cinesi, caparbia, sensibile, coraggiosa senza pietismi e ammiccamenti: una leggerezza narrativa stupefacente, uno stile realistico privo di orpelli, una progressione emotiva invisibile e inarrestabile.

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