Miral
Julian Schnabel
- India/Israele/Francia/Italia
2010
- 1h 52' |
Venezia 67 -
concorso
Con
le consuete camere a mano e la sua poetica un po' naif, Schnabel (Basquiat,
Prima che sia notte,
Lo scafandro e la farfalla) questa
volta affronta qualcosa che lo tocca profondamente. Ebreo newyorkese, di
tendenze decisamente liberal, da alcuni anni vive una storia d' amore con
la giornalista palestinese Rula Jebreal a lungo attiva in Italia, dove è
giunta con una borsa di studio dopo la fine dei corsi all'Al Tifi. Dal
libro, in gran parte autobiografico, di Rula
La strada dei fiori di
Miral,
Schnabel ha elaborato un film non perfetto, certo, spesso semplicistico,
ma di grande passione. Dove emergono figure magnifiche di donne e la
grande, illuminante, idea che solo l'istruzione - la più estesa possibile
- può aiutare a risolvere i conflitti (che sia un racconto di donne,
ovviamente non è un caso) [...] È vero, i difetti di
Miral sono molti
(il più brutto, l'uso della lingua inglese anche nei dialoghi tra arabi) e
il punto di vista ebraico è di debole entità, tanto da rendere squilibrata
la relazione nel conflitto. Ma non bisogna dimenticare che il film narra
di una vita, della vita di una piccola donna che può essere la stessa Jebreal, ma non solo. Come lei, intorno a lei, migliaia di bambine in ogni
parte del mondo vivono destini più grandi di loro. Il film dice anche che
a volte, per cambiare il destino di un essere umano, basta che qualcuno ti
allunghi una mano, che qualcuno non volti lo sguardo davanti alla tua
disgrazia. La tolleranza e l'amore possono tutto questo. Ed entrambi i
sentimenti vengono amplificati da una buona istruzione. Un concetto tanto
semplice, quanto vero.
Miral lo trasforma in una bella storia che sboccia
nel cuore del conflitto israelo-palestinese. Sarà banale, ma a noi ha
profondamente commosso.
|
Roberta Ronconi -
Liberazione |
...Il
film, nell’immergersi senza alcun senso della misura nell’eterno conflitto
mediorientale, sta nettamente da una parte, quella palestinese. Scelta
insindacabile, naturalmente, che però da un punto di vista cinematografico
si traduce in una serie di clamorosi colpi bassi emotivi e in una retorica
sfacciata. Tutti cattivi gli israeliani, insistita sottolineatura della
sproporzione delle forze in campo (le pietre dell’Intifada contro gli Uzi
di Tsahal, l’esercito), sguardo assicurato agli uni e negato agli altri,
mentre la bomba dell’infermiera kamikaze araba ovviamente non esplode. Qui
il problema non è l’ideologia, ma come questa corrompe lo stesso
linguaggio, enfatico quando vuole dimostrare l’esemplarità delle sue
eroine (i carrelli ottici all’indietro, la musica in levare…), per nulla
incisivo quando si dovrebbe semplicemente raccontare. Si capisce al volo
quanto Schnabel, con la sua cinepresa digitale, sia distante dall’idea
stessa di “romanzo popolare”, quale forse poteva essere la storia di Miral
e dei palestinesi d’Israele. |
Mauro Gervasini -
Film Tv |
...Siamo
quindi di fronte a un percorso ad ostacoli, giornalisticamente parlando:
un film prodotto da personaggi discutibili, che propugna valori
assolutamente indiscutibili (la tolleranza, il rispetto per le donne, il
sogno di un Medio Oriente pacifico dove ebrei e palestinesi possano
coesistere) in modo, però, artisticamente risibile. |
Alberto Crespi -
L'Unità |
promo |
Nel Dar
Al-Tifel Institute, l'orfanotrofio fondato da Hind Hussein nel
1948 in terra palestinese, viene accolta a sette anni Miral dopo
la morte della madre. Il suo cognome viene cambiato, perché è
legato a un attentato compiuto dalla zia, e lei tenuta all'oscuro
del suo passato. Quando però Miral, ormai cresciuta, viene
assegnata come insegnante a un campo profughi, la realtà squarcia
il velo ovattato dietro al quale è cresciuta. Miral, che cerca
nell'istruzione la possibilità di sfuggire all'emarginazione cui
il suo popolo è condannato nella sua stessa patria, dovrà decidere
se seguire la strada degli insegnamenti di pace che le sono stati
dati o quella dell'attivismo politico e della rivolta.
Schnabel ancora una volta attinge alla propria sensibilità di
artista e nel tratto emozionale della sua "pittura registica"
prova a scavalcare i confini della retorica nel fondere cinematograficamente intuizioni poetiche, immagini e suoni. |