Lo scafandro e la farfalla (Le scaphandre et le papillon)
Julian Schnabel  - Francia 2007 - 1h 53'

miglior regia

    La nostra vista ci fa partecipi dello stesso universo al quale appartengono gli oggetti e le persone che rientrano nel campo visuale. Al cinema, invece, abbiamo la sensazione di trovarci al cospetto di una realtà diversa dalla nostra, ma che sempre realtà rimane, come se fossimo affacciati a un altro universo. È la teoria dei filmologi, fondata su rigorosi principi psicofisici. Tuttavia, vedendo Lo scafandro e la farfalla, abbiamo avuto la prova che in certi casi essa possa venire violata. Il film racconta la storia vera di Jean-Dominique Bauby, direttore della rivista di moda Elle, il quale nel dicembre del 1995 fu colpito da un ictus che lo rese quasi per intero inattivo. Quando si risvegliò dal coma, era in grado di comunicare solo attraverso il battito di palpebra dell'occhio sinistro. Per narrare la sua avventura, il regista Julian Schnabel ha identificato l'occhio della cinepresa con l'occhio del paralitico, realizzando una sorta di "film-verità" attraverso la "soggettiva" dello sguardo di Dominique. Così ha costretto l'occhio dello spettatore a identificarsi totalmente con quello sguardo. Di conseguenza entrambi, lo spettatore e il protagonista, si trovano a osservare lo stesso universo reale. Il battito delle palpebre sostituisce il montaggio, consente lo stacco da una inquadratura all'altra. La realtà diversa interviene solo quando Bauby ricorre al "terzo occhio", l'occhio della immaginazione e della memoria. In quella sequenza il malato, attraverso il "monologo interiore", riacquista l'uso, sia pure virtuale, della parola. Un film estremo, insomma, così com'è estremo il caso di Bauby che, agitando la palpebra è riuscito a dettare lettera per lettera, adottando un alfabeto particolare, un intero volume, concluso pochi giorni prima del suo decesso e divenuto un bestseller: Lo scafandro e la farfalla per l'appunto; lo scafandro che gli imprigiona il corpo; la farfalla che, svolazzando, gli assicura la libertà interiore. Qui tutto funziona, coinvolgendo lo spettatore, senza ricorrere mai a quei mezzi ruffiani di commozione, che la condizione del protagonista poteva suggerire. Schnabel film successivo in archivio, pittore che di quando in quando si dà al cinema (Basquiat, Prima che sia notte), al terzo film ha realizzato un capolavoro, usando tecniche ed espedienti narrativi, coi quali altri registi generalmente falliscono.

Callisto Cosulich Left

    Almeno quanto il tema di Lontano da lei, il soggetto de Lo scafandro e la farfalla era da affrontare con le precauzioni con cui si avvicina un serpente velenoso. Figurarsi: la storia (vera) di un quarantenne - Jean-Dominique Bauby, caporedattore della rivista Elle - colpito da una malattia che lo rese ostaggio del proprio corpo, del tutto paralizzato salvo un occhio. La cosa prodigiosa è che sia riuscito, anche così, a scrivere la propria biografia; dettandola, lettera dopo lettera, con i battiti della palpebra. Ma è sorprendente anche la capacità di Julian Schnabel, artista prestato (felicemente) al cinema, di trarre dall'insidiosa materia un film coinvolgente e intenso; che ti mette ansia ma poi, in qualche modo, la sublima e ti rasserena. Nei primi minuti, Schnabel ricorre alla soggettiva: la figura del film in cui, virtualmente, l'obiettivo coincide con l'occhio di un personaggio. In quei minuti, noi "siamo" Jean-Do, ci risvegliamo con lui dal coma, entriamo nel mondo parallelo di un uomo imprigionato in uno scafandro (il corpo), che impara a evaderne con la farfalla del proprio ciglio. Anche se l'evasione, in flashback, non potrà avere la stessa intensità del resto.

Paolo D'Agostini  – La Repubblica

    Forse ci voleva proprio un regista «occasionale» come Julian Schnabel (i suoi quadri sono più famosi dei suoi film) per affrontare un tema così ostico e anticinematografico: la degenza in ospedale di un ex caporedattore di Elle colpito da una paralisi che gli fa muovere solo la palpebra dell' occhio sinistro. Da questa storia vera poteva uscire la più melensa e ricattatoria delle operazioni, e invece Le Scaphandre et le papillon (Lo scafandro e la farfalla), presentato ieri in concorso, non assomiglia a nessuno dei film «ospedalieri» fatti fino a oggi. Basti pensare che per quasi un' ora (delle due scarse che dura), lo spettatore non vede il protagonista ma guarda il mondo attraverso il suo unico occhio aperto (l' altro gli viene suturato perché il bulbo non è irrorato a sufficienza), ricostruendo con lui quello che è successo. Ma a differenza di altri film girati in soggettiva (La donna del lago, La fuga), quello che si vede sullo schermo è spesso sfocato, «inquadrato» male. Perché Schnabel vuole trasmettere soprattutto l' esperienza fisica che Jean-Dominique Bauby ha sopportato sulla sua pelle nell' anno e due mesi in cui è stato ricoverato. Affidato alla recitazione di Mathieu Amalric, che per metà film non si vede e per l' altra metà è immobile e deformato dalla paralisi, il film è quanto di più antispettacolare si possa immaginare, ma proprio per questo colpisce in maniera indelebile la fantasia (e l' emozione) dello spettatore. L' impresa titanica di dettare un libro facendosi recitare per ogni lettera di ogni parola tutto l' alfabeto, per indicare con un battito di ciglia quella giusta (libro che Bauby riuscirà a veder pubblicato pochi giorni prima di morire e che è alla base del film), finisce quasi per essere un pretesto di fronte alle dinamiche che il malato instaura con l' ortofonista (Anne Consigny), la «redattrice» (Marie-Josée Croze), l' ex moglie (Emmanuelle Seigner). E anche se si capisce che all' artista Schnabel interessava il tema della libertà interiore che Bauby possiede (può ricordare e immaginare, a volte di essere chiuso in uno scafandro, a volte libero come una farfalla), la secchezza della regia e qualche insolita svolta narrativa (il pellegrinaggio a Lourdes) evitano al film cadute nel kitsch e nel ricatto emotivo.

Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera


promo

Prima di un film Lo scafandro e la farfalla è stato un libro che ha commosso mezzo mondo. E prima di un libro è stata la dolorosa e incredibile storia vera di Jean-Domique Bauby. All'indomani del coma, si sveglia paralizzato in tutto il corpo, vittima della cosiddetta sindrome di lock-in. Il cervello è perfettamente vigile, la memoria integra, le facoltà intellettive perfette... ma l'unico modo per esprimerle è l'occhio sinistro. Schnabel è pittore prima ancora che regista e il suo talento si spinge verso forme di rappresentazione sperimentali e inconsuete. Qui con grande tatto e poeticità ci fa vedere il mondo dalla parte di Bauby e senza pietismi, senza un briciolo di ricatto (né estetico né etico) arriva a realizzare un indimenticabile capolavoro.

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