Vent'anni
di storia visti con gli occhi di una piccola iraniana che cresce, cambia,
capisce, scopre la storia della propria famiglia e del proprio paese
mentre il popolo insorge contro lo Scià, vede una rivoluzione e poi una
guerra, soffre, emigra, ritorna nell'Iran degli ayatollah ormai
adolescente, quindi scappa di nuovo, stavolta in Francia dove diventa una
grande disegnatrice. E racconta tutto quel che ha vissuto in uno
straordinario cartoon. Semplice e sofisticato (così sofisticato che sembra
semplice), lineare e tumultuoso, pieno di fatti, di personaggi, di
emozioni, di idee. Anche, anzi proprio perché non è un laborioso e
iperrealistico film in 3 D, ma un cartoon tradizionale e in bianco e nero,
dunque è duttile e potente, astratto e insieme preciso. L'ideale per
questa cavalcata "in soggettiva" che partendo dal punto di vista di una
bambina va al cuore delle cose alla loro verità profonda senza mai
rinunciare alla complessità del mondo.
Tratto dall'autobiografia a fumetti in due volumi di Marjane Satrapi
(pubblicata da Sperling & Kupfer), ma realizzato a quattro mani con
Vincent Paronnaud,
Persepolis
comunica il sentimento, raro, di una riuscita totale. E finisce per essere
molte cose insieme: un'educazione sentimentale, un viaggio nella memoria
collettiva, il trionfo di un'immaginazione così docile e sbrigliata che
alla fine la vita della piccola Marjane diventa un pochino nostra. Anche
se questa ragazzina di famiglia colta e benestante, due genitori che le
dicono tutto, una nonna che adora e le dà consigli preziosi, va matta per
Bruce Lee, i Bee Gees e più tardi per gli Iron Maiden, che compra al
mercato nero già sotto il chador, ma cresce sentendo gli amici di famiglia
raccontare le torture subite («sono degli scienziati, hanno imparato
dalla Cia»), si vede arrestare e uccidere lo zio preferito. E prima di
fuggire a Vienna per evitare i rigori della "rivoluzione" islamica, vive
in un mondo dove le strade sono in mano a ragazzini col mitra, nelle case
si fa il vino di nascosto, due centimetri di pelle sfuggiti al chador
possono costare l'arresto, la Venere di Botticelli sui libri di scuola è
tutta vestita, per non parlare del missile che abbatte la casa dei vicini.
Ma accanto a queste esperienze solo sue, Marjane ne fa altre che
appartengono a tutti, cresce, vede il suo corpo trasformarsi, litiga, si
innamora, scopre a Vienna quanto può essere affascinante ma anche arido e
ottuso l'Occidente (e vigliacchi i ragazzi...). Insomma si costruisce una
identità complessa che il film riflette con l'immediatezza di uno stile
dai tratti netti che usa tutti i mezzi del bianco e nero, sfondi, ombre,
silhouettes, contrasto di materie e superfici, per dare vita a una
girandola di emozioni diversissime con una leggerezza e una capacità di
fondere, anche visivamente, le due culture da cui proviene, davvero
invidiabili. |
Verrebbe
da dire che al cinema il fumetto
Persepolis
di Marjane Satrapi finisce addirittura per guadagnarci. E questo
nonostante i quattro volumi avessero conquistato mezzo mondo (in Italia li
ha pubblicati Sperling & Kupfer) raccontando, tavola dopo tavola, il
processo di maturazione e poi di crescita di una piccola ma combattiva
iraniana, non a caso fan di Bruce Lee. Si era giustamente parlato di
intelligenza, umorismo, autoironia e passione, sottolineando come l'
autrice riuscisse a concentrare in un solo disegno il suo messaggio e a
renderlo immediatamente comprensibile. Senza dimenticare che il vero
soggetto di
Persepolis
era la storia di uno
Stato, l'Iran, dalla caduta dello scià alla democrazia teocratica degli
ayatollah, non l'avventura più o meno fantastica di una bambina. E che si
parlava di torture, esecuzioni, guerre, morti...
Come dire: un argomento non certo «nazional-popolare» che aveva
conquistato il pubblico per forza di stile e di intelligenza. Portarlo al
cinema poteva sembrare un'operazione rischiosa se non azzardata. E infatti
l'autrice aveva rifiutato le proposte che volevano farne il soggetto di un
film di finzione, magari con qualche grande star hollywoodiana. Ha
accettato solo quando avrebbe potuto controllare totalmente il progetto,
non snaturarne lo spirito e dirigerlo insieme al compagno con cui divide
lo studio dove lavora, Vincent Paronnaud. E i risultati le hanno dato
perfettamente ragione.
L'idea vincente è stata probabilmente quella di conservare anche per lo
schermo la piacevole astrazione bidimensionale dei suoi disegni originali.
In un cinema d' animazione dove tutti sembrano inseguire il più vero del
vero con personaggi tridimensionali, facendo ricorso a tutte le più
sofisticate invenzioni della creazione digitale,
Persepolis
(film) rivendica il suo diritto a essere fatto di disegni ai limiti
dell'astrazione, di mettere in campo un'animazione molto semplice e di
scegliere il bianco e nero come universo cromatico di riferimento. Tutto
quello, cioè, che potrebbe «irritare» lo spettatore e che invece si rivela
l'arma vincente per catturarne mente e cuore. |