Into the Wild
Sean Penn
- USA
2007
- 2h 28'
|
Ci
sono storie dove i personaggi restano uguali a se stessi dall'inizio alla
fine; altre, nel corso delle quali evolvono e, insieme, evolve l'opinione
che ci facciamo di loro. Ricade nel secondo caso
Into
the Wild,
il "film di formazione" diretto da Sean Penn che ci sorprese e ci emozionò
alla Festa del Cinema di Roma. A partire da una vicenda autentica,
trascritta nelle pagine del libro Nelle terre estreme di Jon Krakauer,
Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro
tra l'uomo e la natura selvaggia.
Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista, giovane uomo
dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca
della purezza; un "picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri
erranti della Beat Generation. Fa di più: osa realizzare un film sul
valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il
massimo pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o
con la "rete".
All'inizio degli anni 90, il neolaureato Christopher McCandless dà quel
che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio, autentica performance
dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il
Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto
a partire dal rifiuto della famiglia d'origine: cellula di giudizio e
controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto più
spaventosa perché accettata come norma e condizione naturale. Tra Nuovo
Messico, Arizona, Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini
dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con l'altro,
occasioni di conoscenza e comprensione anche reciproca. Alex s'accompagna
a una coppia di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in
un'azienda agricola, diventando amico di un tale ricercato dalla polizia;
flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita,
che vuole adottarlo. Già di per sé, intraprendere una tale pista equivale
a confrontarsi con la mitologia fondativa della cultura americana, dai
pionieri che affrontarono per primi le terre incognite a Thoreau, da
London a Kerouac.
Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più nella
solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la
wilderness è libertà e verità, ma rappresenta anche il rischio e la
minaccia ultima. In una scena ai limiti del sublime Alex, ormai stremato
dalle privazioni, si trova di fronte un gigantesco orso bruno: forse
affamato quanto lui, eppure non minaccioso. Qui Penn dà forma definitiva
al mito dell'incontro tra due creature libere nel Paradiso Perduto,
nostalgia lacerante di un'intera cultura tuttora in lutto per la perdita
dell'innocenza e che, promotrice della "civiltà", ad essa annette un
irredimibile senso di peccato.
Sereno e dolente, stoico e consapevole insieme, refrattario al "nostalgismo"
come al manierismo, lo sguardo della macchina da presa annette di diritto
Penn - accanto a Clint Eastwood, Paul Haggis e pochi altri - alla
pattuglia transgenerazionale di cineasti capaci di raccogliere la grande
eredità del cinema classico americano. Appropriate le canzoni di Eddie
Vedder dei Pearl Jam. |
Roberto Nepoti –
La
Repubblica |
Se l'intento
era quello «di far battere i cuori dei giovani più velocemente», Sean Penn,
al suo quarto film da regista
Into
the Wild,
può dire di esserci riuscito anche con quelli, ben più aridi, dei critici.
Tratto dal libro di John Krakauer (tradotto in Italia Nelle terre
selvagge), il film sembra celebrare il mito americano nella sua essenza,
dalla frontiera all'epica on the road, al culto della wilderness, ma in
realtà racconta la necessità dell'antagonismo. La storia è vera: il
giovanissimo Chris McCandless (Emile Hirsch lo interpreta con ispirata
arroganza) offre i risparmi in beneficenza, brucia carte di credito e
documenti di identità, abbandona famiglia e macchina. Il suo viaggio verso
l'Alaska sarà senza rete, estrema iniziazione. Dice cose semplici Penn, ma
le dice con rabbia, declinando questo addio alla civiltà in magnifiche
riprese sulla natura che travolge, primi piani del protagonista solitario,
episodi più distesi e narrativi dove Chris incontra quel che resta del
mondo, vecchi hippy e vecchi saggi. Il film è un monito: il pianeta
intorno si consuma e noi non sappiamo contrastarne la deriva. Nonostante
questo, non v'è un grammo di politically correct nel film di Penn, nessun
mito del buon selvaggio; alla fine la natura, se sfidata all'impazzata, ti
divora: da soli, a questo mondo, non si va da nessuna parte. E che a dirlo
sia l'anarchico e scontroso Penn davvero colpisce. Al cuore. |
Piera Detassis –
Panorama |
promo |
A partire da
una vicenda autentica Penn si confronta direttamente col mito originario
americano: l'incontro tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta,
un mito contemporaneo nel protagonista, giovane uomo dalla personalità al
confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza. Così il
film diventa un monito: il pianeta intorno si consuma e noi non sappiamo
contrastarne la deriva: da soli, a questo mondo, non si va da nessuna
parte. E che a dirlo sia l'anarchico e scontroso Penn davvero colpisce. Al
cuore. |
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LUX
- marzo-aprile 2008 |
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