La pecora nera
Ascanio Celestini
- Italia
2010
- 1h 33' |
Venezia 67 -
concorso
Il
lungometraggio di esordio di Ascanio Celestini, basato su uno suo
spettacolo teatrale poi pubblicato come libro, trova una forma filmica
distintiva e una compattezza narrativa, e denota una non comune abilità
nel disseminare la storia di indizi su ciò che racconta veramente. Il
protagonista (Celestini) è figlio di una donna ricoverata in manicomio ed
è cresciuto con la nonna che portava alle infermiere le uova delle sue
galline. Il giovane uomo (innominato fino alle scene finali) frequenta
l'ospedale psichiatrico e i suoi pazienti, stringendo amicizia con uno di
loro (Tirabassi) e flirtando con un'ex compagna di giochi (Sansa). Il suo
racconto non è pietistico, anzi, si sorride spesso per l'ironia che colora
le battute in cui descrive la sua esistenza e i personaggi che lo
circondano.
La
pecora nera è
privo di quella italica sciatteria che ha caratterizzato tanto cinema low
budget italiano: pare una favola nordica crudele e iperrealista, in cui
ogni oggetto e ogni individuo hanno una collocazione ben precisa nello
spazio e nella narrazione..
|
Paola Casella -
Europa |
A
conferma che i festival fanno male alla salute, siamo rimasti sorpresi
dalle reazioni veneziane a
La pecora nera, esordio nella regia
cinematografica di Ascanio Celestini. Diversi recensori hanno rimarcato la
natura «teatrale» del film (e qui ha sbagliato Ascanio: non doveva dirlo
in giro, che
La
pecora nera è
anche uno spettacolo teatrale, e nessuno se ne sarebbe accorto...). [...]
Proviamo quindi a far finta che Venezia non ci sia stata (non è difficile,
dai!). Signore e signori, benvenuti al primo bellissimo film di Ascanio
Celestini, autore teatrale musicale e radiofonico, attore e cantante,
scrittore di romanzi, documentarista, custode della memoria romana e non
solo, in una parola: cantastorie, nel senso più nobile del termine. Sì,
Ascanio Celestini è un uomo che racconta delle storie, e il cinema era
l'unico strumento che ancora non aveva utilizzato. Nello spettacolo al
quale La pecora nera si ispira è in scena da solo, con pochissimi arredi e
l'unica forza della sua voce e della sua faccia barbuta. Il film riprende
fedelmente le situazioni dello spettacolo, non rinunciando alla voce fuori
campo, ma le «apre» e le ambienta in periferie dal sapore pasoliniano e in
un manicomio che restituisce tutto l'orrore dell'Istituzione con la «I»
maiuscola. Nicola ci vive da quando è bambino, nel «manicomio elettrico»
(ovvero, dove si pratica l'elettroshock).
La
pecora nera è la
storia di come ci è arrivato e di come ha costruito, in questa via crucis,
un modus vivendi che tutto sommato lo rassicura e gli permette di andare
avanti. Il senso tragico della
Pecora nera
è proprio questo: come la chiesa e la famiglia e la caserma e tanti altri
universi concentrazionari, il manicomio è rassicurante. La paura sta
fuori. Per questo, nella barzelletta che apre il film, i matti in fuga
scavalcano 99 cancelli e, arrivati al centesimo e ultimo, si stufano. E
tornano indietro. |
Alberto Crespi -
L'Unità |
Un
film per dire la follia. Per provare a guardare il mondo con la testa di
un "matto". Per fare della follia e dei manicomi la metafora di un paese
che non è cambiato malgrado la legge Basaglia. Forse perché la salute
mentale è un problema di ognuno di noi e a farci ammattire sono proprio le
istituzioni nate per garantire l'ordine e il funzionamento del mondo. O
almeno di quel surrogato di mondo che chiamiamo libero mercato ma tanto
libero forse non è. Approdato al cinema dopo un libro e uno spettacolo
frutto a loro volta di tre anni di lavoro e incontri con medici,
infermieri e pazienti, La pecora nera è un film ipernutrito, stratificato,
eccessivo, tanto programmatico da risultare a tratti didascalico. Ma anche
un oggetto insolito e spiazzante con cui fare i conti vista l'importanza e
la coerenza del percorso teatrale di Celestini... |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Un
insieme di situazioni assemblate da un monologo teatrale non fanno un
film. Tanto più se il testo è costellato dai tormentoni di una voce fuori
campo che poco hanno a che vedere con le immagini.
La
pecora nera
di e con Ascanio Celestini è l'ultimo anello di una lunga catena
produttiva iniziata parecchi anni fa con il libro, proseguita con lo
spettacolo teatrale e continuata con il dvd. Purtroppo della sua origine
teatrale risente anche il film che ora arriva sugli schermi. Vi si narra
la vicenda di Alberto Paolini, 42 anni di manicomio, pecora nera già a
scuola quando lo si vede bambino, accudito dalla nonna perché la madre è a
sua volta internata nella casa dei matti. D'estate il padre lo scarica ai
fratelli, pastori nella collina laziale. Poi, eccolo in manicomio vent'anni
più tardi, in un andirivieni un po' sconclusionato, protagonisti i
personaggi che popolano l'ospedale più che le sue leggi alienanti. Si
rimbalza dagli anni '60, «i favolosi anni '60» nei quali i marziani
aleggiano come simbolo di emancipazione, agli anni '80 del manicomio
popolato dai santi, altra creatura della fantasia del protagonista:
«Gli infermieri sono santi, le suore sono sante e il direttore è il capo
dei santi». In realtà, gli infermieri sono silenti e inoperosi, le
suore molto poco spirituali scorreggiano nei corridoi, e i pazzi risultano
quasi simpatici: su tutti Alberto (Giorgio Tirabassi), alter ego di Nicola
(Ascanio Celestini). L'unico diversivo è la spesa al supermercato dove
Nicola ritrova Marinella (Maya Sansa), fiamma infantile e dove sembra
spuntare un barlume di trama. Prima che la prevedibile critica alla
società dei consumi e al suo tempio, secondo l'autore alienante e
compulsivo quanto il manicomio, prenda il sopravvento. Il tutto
alleggerito, si fa per dire, dal fastidiosissimo «piiiio,
piopiopiopiopio» celestiniano. |
Maurizio Caverzan - Il Giornale |
promo |
Il
lungometraggio di esordio di Ascanio Celestini, basato su uno suo
spettacolo teatrale poi pubblicato come libro, trova una forma
filmica distintiva e una compattezza narrativa, e denota una non
comune abilità nel disseminare la storia di indizi su ciò che
racconta veramente. Il protagonista (Celestini) è figlio di una
donna ricoverata in manicomio ed è cresciuto con la nonna che
portava alle infermiere le uova delle sue galline. Il giovane uomo
(innominato fino alle scene finali) frequenta l'ospedale
psichiatrico e i suoi pazienti, stringendo amicizia con uno di
loro (Tirabassi) e flirtando con un'ex compagna di giochi (Sansa).
Il suo racconto non è pietistico, anzi, si sorride spesso per
l'ironia che colora le battute in cui descrive la sua esistenza e
i personaggi che lo circondano. La pecora nera è privo di quella
italica sciatteria che ha caratterizzato tanto cinema low budget
italiano: pare una favola nordica crudele e iperrealista, in cui
ogni oggetto e ogni individuo hanno una collocazione ben precisa
nello spazio e nella narrazione. |