Mildred
Pierce è mamma, moglie e casalinga nell'America della Grande Depressione.
Tradita e abbandonata dal marito, tra una torta e l'altra cerca lavoro a
Los Angeles per garantire futuro e privilegi alle sue bambine, Ray e Veda.
Assunta come cameriera in una tavola calda, Mildred rivela presto il suo
talento di
cuoca e pasticcera, che mette in pratica aprendo un ristorante.
Rialzata la testa ma segnata da un lutto profondo, Mildred prende
letteralmente in mano il suo futuro e quello di Veda, musicalmente dotata
e in evidente conflitto con lei. Tra una mamma indefessa e una figlia
insidiosa si insinua Monty Beragorn, giocatore di polo ricco e viziato che
pratica il dolce far niente. Ambientato negli anni Trenta e nell'America
in crisi del repubblicano Herbert Hoover,
Mildred Pierce
è un (melo)dramma in cinque atti prodotto dalla HBO e magnificamente
diretto.
Todd Haynes
come in
Lontano dal paradiso
nove anni prima, mostra un'ossessiva fedeltà formale nei confronti di un
genere che viene nondimeno attualizzato e modificato. Qui di fatto
trasforma l'infiammabilità inesplosa e trattenuta dei mélo americani in un
film (a puntate) che divampa sotto i nostri occhi. Un violento e viscerale
congegno narrativo che non si limita a riesumare spoglie di un genere che
fu per giocare col cuore e la memoria colta dei cinefili ma che affronta,
sotto la compostezza della messa in scena, il sogno americano declinato al
femminile. Al centro del dramma e alla periferia di Los Angeles abita una
donna che sceglie di affermare la propria fermezza e il conseguente
bagaglio di sofferenza. Adattamento fedele e puntuale dell'omonimo romanzo
di James M. Cain,
Mildred Pierce riprende un discorso cinematografico che
non sembra soltanto citato e rivisitato nelle musiche, nelle scene, nei
costumi e nella grafica dei titoli di testa ma pure splendidamente
proseguito e aggiornato. Scegliendo il mélo come territorio della sua
autopsia dell'America di quegli (e questi) anni, la mini-serie diventa una
messa in discussione del presente compiuta attraverso uno sguardo
predatato. Il vero dramma è che quella società è quasi uguale a questa,
soltanto un po' meno consapevole della propria stritolante violenza. Meno
'nero' e più 'osservante' della trasposizione del '45 di Michael Curtiz
(Il romanzo di Mildred) interpretata da Joan Crawford, la versione di Todd
Haynes è un'esperienza emotiva purificatrice che mette in schermo il bene
e il male, la luce e il buio, schierando davanti allo 'specchio della
vita' una madre intraprendente che lotta e 'impone' la sua gentilezza e
una figlia inappagata la cui cruda concupiscenza per la celebrità ignora
tutti tranne se stessa. Black melodrama familiare,
Mildred Pierce trova in
Kate Winslet un'interprete mirabile nel restituire una donna che,
emancipata dalla subalternità del ruolo, fa carriera nell'America
'riformata' e recuperata di Franklin Delano Roosevelt. Caparbia e
ostinata, la sua Mildred è 'al volante' della vita e di quell'auto in cui
trova riparo dalla pioggia e dalle afflizioni e da cui 'riparte' per
ricominciare. Condotta via da un amante o 'trasportata' da un taxi è
invece la Veda civettuola e crudele di Evan Rachel Wood decisa ad
affrancarsi dalla provincia e dalla sua condizione a colpi di voce e di
note. Insieme le due attrici daranno vita a un dramma di assordante
tristezza, che non ha più i connotati fiabeschi del sogno ma quelli
asfissianti di una sopportazione che diventa abitudine. Ma l'insurrezione
è dietro la porta. |