…Ma
altresì possono essere i lutti familiari a segnare (in solitudine) la
perdita dell’innocenza nel cuore di un ragazzo. In
La mia
vita a quattro zampe
(Lasse Hallstrom – Svezia, 1985) anche Ingemar ha solo dodici anni, vive
con il fratello alla periferia di Stoccolma (sempre gli anni ’50) e vede
la spensieratezza della sua infanzia
inesorabilmente
minata dal male incurabile della madre. Si trasferisce al nord, a casa di
uno zio, e il nuovo ambiente si configura come un mondo altro, eccentrico
e, da principio, impenetrabile; eppure, fortunatamente, al gelo del
paesaggio non subentra il gelo dell’anima. Ingemar sembra perdere, oltre
alla madre e al suo cane, anche le sue sicurezze, ma al suo scioccante
incontro con la morte e col dolore si accompagna l’approccio a personaggi
e situazioni di disarmante “anormalità”. Cosa turba di più Ingemar nel suo
precoce passaggio ad un’età nuova? La follia, spesso estraniante, degli
adulti
o le strampalate esperienze che affollano la sua adolescenza? I colpi di
martello con cui un vecchio bizzarro ripara
il tetto di
casa (e sbeffeggia i suoi vicini) o i sogni di un altro vecchio,
altrettanto strambo, confusi tra ricordi di antiche
delizie femminili e le letture dei
depliant di biancheria intima? L’abilità della sua amica Saga nel giocare
a calcio o nel tirar di boxe? I suoi splendidi occhi o il suo dolce seno
in sboccio? I latrati emotivi della “vita a quattro zampe” di Ingemar
coprono un arco (cinematografico) di maturazione a contatto con la
sofferenza e la morte che va dalla leggerezza di Eroi di tutti i giorni
(Diane Keaton – USA, 1995) alla profonda religiosità di
Constans
(Krzysztof Zanussi – Polonia, 1980)…
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