da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Dopo
Dogville,
secondo episodio della trilogia politica di
Von Trier
. Grace (Bryce Dallas
Howard, al posto della Kidman) lascia Dogville col padre e i suoi
gangster. In Alabama s'imbattono in Manderlay, decrepita
proprietà-prigione dove la schiavitù non è stata abolita. Grace decide di
portarvi la democrazia... |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
Signore e signori, Dogville 2, anzi Manderlay. Come nell’originale, niente scenografie: case, alberi e strade sono sostituiti da scritte in terra, con effetto brechtiano. Protagonista è sempre la giovane idealista figlia di un gangster, in fuga verso Sud durante la Grande Depressione. Anche se, defilatasi Nicole Kidman, stavolta Grace ha il viso virginale di Bryce Dallas Howard. Anzi, a esser perfidi, Dogville sta a Manderlay come la più complessa (e sessuata) Kidman sta alla fragile Howard. Lo stupore della prima volta infatti non si ripete, ma tant’è: stavolta tocca allo schiavismo, onta mai espiata se è vero che in America abbondano i musei dell’Olocausto ma nessuno, neri in testa, ha voglia di ricordare la storia infame degli “afro”. Manderlay è il nome di un paesino dell’Alabama in cui, complici i neri che non si sentono «pronti per la libertà», vige ancora lo schiavismo come 70 anni prima. Vuoi vedere che Grace, illusa, tenterà di liberarli e educarli - salvo finire per impugnare lei pure la frusta? Il gioco è scoperto, la morale scontata, la pedagogia sadica di Von Trier, alla lunga, monotona. Stavolta insomma il danese rischia di predicare ai convertiti. E rovescia i codici del cinema classico più per partito preso che per reale necessità narrativa. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Lars von Trier continua con le contraddizioni della storia sociale Usa nel suo maxi studio cine-tv in cui in realtà fa teatro: Brecht. Dopo Dogville, l'anima buona che era della Kidman e ora della brava Bryce Dallas Howard, fa rotta verso l'Alabama per parlare della «necessaria» schiavitù. Impossibile essere buoni, solo l'ambiguità ci può salvare. Crudele cantore della naturale sottomissione al Male, l'autore del Dogma è fedele al modello per eccesso (didascalie e carneficina) in 8 capitoli. Tra cartine e segni di gesso, l'America non dei sogni ma degli incubi, ricostruita per dispiacere con voce off e l'inutile catarsi di una donna delusa. Manca la folgorante sorpresa del primo film, resta la costanza stilistica e «amorale». |
TORRESINO
- novembre 2005