L'enfant
Luc e Jean-Pierre Dardenne - Belgio/Francia 2005 - 1h 35'

Palma d'oro 58° Festival di Cannes

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

     I fratelli film precedente in archivio Dardenne film successivo in archivio, belgi, baricentro del cinema all' europea senza effetti ma con affetti speciali, hanno vinto con questo film a Cannes, sei anni dopo Rosetta. I soliti. Meno male. Ancora con una rigorosa, sofferta storia sulla pelle di due giovani, il ladruncolo Bruno e la sua Sofia, con un neonato in carrozzina. Un cinema, vedi Bresson, che si riprende il peso morale, pedina la realtà, vedi Zavattini. Ma questo neo realismo, intriso di sentimenti e contrasti, accarezza due ragazzi già provati dalla vita: se lei si sente madre, lui tenta di vendersi la creatura, provocando guai. Sembra un film improvvisato, ma nulla avviene per caso, è tele-comandato dal senso di giustizia di autori che emanano profonde infelicità, chiamandoci complici e testi con la psicosomatica presenza di Deborah Francois e Jeremie Renier. La storia entra dentro e si pensa a quanto il cinema può oggi essere ancora utile.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     In un territorio urbano desolatamente anonimo, Bruno e Sonia — venti e diciott’anni, padre e madre di un neonato chiamato Jimmy — navigano a vista nella precarietà di chi è nato dalla parte sbagliata della scala sociale. Lui traffica in telefonini e lettori di CD rubati, vende e acquista da mattina a sera, deciso a fare dei soldi a qualsiasi costo in un mondo dove i soldi sono tutto quel che conta. Quando finisce in rosso, trova naturale vendere Jimmy: tanto, tutti i bambini si equivalgono, e “se ne può sempre fare un altro”. Il tema avrebbe potuto tentare Ken Loach, con l’avanzare dell’età sempre più sensibile alle storie di giovani e giovanissimi. Lo svolgimento è quello caratteristico dei Dardenne: cinepresa incollata ai personaggi, che li circonda e li esplora “alitando” allo stesso ritmo del loro respiro. Nessun sospetto di manierismo, però, nel nuovo film dei fratelli belgi, la cui capacità di rendere realistica l’immagine riesce ancora una volta a farti vivere l’azione in presa diretta. Di più. La semplice, dura vicenda è raccontata con tratti che superano largamente l’aneddoto per assumere un significato generazionale, e oltre. Anche i genitori sono due bambini — lui totalmente irresponsabile, lei più consapevole perché donna e madre — strappati in fretta all’infanzia ancora con la voglia di farsi scherzi e d’inseguirsi come dodicenni. Se Bruno, capo di una minigang di ladruncoli, vende il piccolo, più che per cinismo è per in-coscienza, come in un gioco condotto con la crudeltà tipica dei minorenni. Tant’è che, attonito davanti alla disperazione di Sonia, decide di pagarne il riscatto esponendosi al rischio. Lungi dal raccontarci la storia di un mostro, i Dardenne mettono in scena un percorso morale, una redenzione (ecco perché, dove sarebbe legittimo aspettarsi di trovare ogni porta sbarrata, concedono una via d’uscita ai loro protagonisti). in questo si rivelano i veri eredi di Robert Bresson; diversissimi da lui per stile, lo emulano nel risolvere l’urgenza di un rapporto morale col mondo non predicando, ma affidandosi totalmente al linguaggio. Il vecchio maestro fu l’autore di un memorabile L’argent, rigoroso fino alla spietatezza. In un certo senso I.’enfant, meritata Palma d’oro a Cannes, è il proseguimento a lunga distanza di quel capolavoro. Perché la cosa più focalizzata, e più perturbante, del film resta il rapporto dei personaggi col denaro: spettro della monetizzazione universale per cui, smarrito ormai ogni rapporto simbolico con il mondo, tutto è vendibile, tutto ha un prezzo; e la parola pronunciata più spesso da chicchessia è “euro”. 

TORRESINO - gennaio 2006
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