Hwajang (Revivre)
Im Kwon-Taek - Corea del Sud 2014 - 1h 33'

fuori concorso - VENEZIA 71

    Completamente ignorato dalla critica (nessuno dei grandi quotidiani nazionali l’ha recensito) l’ultimo lavoro con cui il veterano regista coreano Im Kwon-Taek (102 film dei più diversi generi all’attivo) si presenta a Venezia, è un film in assoluta controtendenza rispetto al mainstream cinematografico di Kim Ki-Dukfilm precedente in archivio e compagnia.
Agli antipodi della compiaciuta esibizione di violenza e sadismo, così comune nel recente cinema coreano,
Revivre è un film sapiente e delicato, pieno di grazia e comprensione umana, tutto girato sugli sguardi, i sentimenti e le cose non dette.
È un film sulla vita e sulla morte: la morte che entra prepotentemente nella nostra esistenza con la malattia di una persona cara; la vita e cioè la possibilità dell’amore e del ricominciare, che è sempre lì a chiamarci, a tentarci, anche quando l'età, la dignità, il senso del dovere in una persona moralmente integra ne esclude la realizzazione.
Il protagonista Oh (l’attore Ahn-Sung-Li, già visto in
Ebbro di donne e di pittura)è un uomo arrivato - a capo di una famosa ditta di cosmetici (adorato dai dipendenti), figli sistemati, casa al mare - che entra in un tunnel di dolore e frustrazione quando alla moglie è diagnosticato un incurabile tumore al cervello. Sono quattro anni di chemio, operazioni, miglioramenti, ricadute che egli affronta con amore e dedizione sincera, ricacciando l’inconscio, inconfessabile desiderio che tutto finisca al più presto. Il suo tormento è reso particolarmente crudele dal fatto che, nel frattempo, è entrata nella ditta e nella sua testa Eun-Joo (Ho-jung Kim), giovane e avvenente direttrice di marketing per la quale egli prova un’irresistibile attrazione, fino ad arrivare a trasfigurarla nei suoi sogni in un simbolo inarrivabile, quasi diabolico, di bellezza e di vita.
In un gioco di continui flashback e salti in avanti, nella cornice del suntuoso funerale tradizionale della moglie con cui il film inizia e finisce, il regista accompagna Oh, con grande realismo, ma nessun compiacimento, nella terribile quotidianità di un corpo che perde letteralmente il controllo di se stesso. Bellissima la scena in cui Oh si sforza di fare l'amore con la moglie, ormai debilitata e forse conscia della di lui infedeltà mentale, per farla sentire ancora una volta donna e oggetto d’amore.
Dall’altra parte, la ragazza, scrupolosa sul lavoro, quasi sottomessa, intenta ai preparativi del suo prossimo matrimonio, sembra non rendersi conto dei sentimenti che suscita. Solo verso la fine, dopo le esequie della moglie, intuisce qualcosa: vorrebbe allora aprirsi, certo capire, lo cerca (ed è qui l'unica concessione al melodramma). Oh non risponde, cancella messaggi e numero di telefono, si avvia verso il suo destino di consapevole solitudine.
Sempre in controtendenza rispetto alle tenebrose immersioni sociali di altri cineasti del suo paese, Im Kwon-Taek ci fa un ritratto (specialmente nelle scene delle riunioni aziendali ad alto tasso alcolico) ironico e realista del mondo del lavoro nel colosso economico coreano: il senso molto orientale del dovere, delle gerarchie, un'etica omnipervasiva, le relazioni sociali e familiari, dove certamente le fantasie erotiche del protagonista non trovano spazio.
L'attore Ahn-Sung-Li, sulle cui minime emozioni la macchina da presa indugia con grande efficacia, è assolutamente credibile nella sua umanità scissa e distorta. Inquietante il fatto che in coreano Hwa Jang significhi contemporaneamente make-up e cremazione, e qui ci viene in mente quell’altro straordinario film che è stato il giapponese
Departures.
Applausi per tutti in sala, in primis per la effettivamente splendida Ho-jung Kim; a proposito, era fuori concorso!

Giovanni Martini - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 36