Mantenendo quest’ottica quindi si può comprendere con meno stupore il successo agli Oscar (miglior film straniero) di Departures di Takita Yojiro, fatto assolutamente raro visto che dal 1947 (anno in cui gli Oscar hanno inaugurato questa categoria) è capitato solo tre volte (come premio onorario negli anni ‘50) che vincesse un film giapponese. Departures denota appunto quel moto di ridefinizione in atto nel cinema nipponico, e un’apertura degli stilemi di genere classici, elementi questi che con tutta probabilità hanno permesso, e consentiranno, una più accessibile fruizione anche da parte di chi non ha la curiosità e la conoscenza per accogliere e decodificare criticamente la cultura immaginifica di questo paese o di chi, più passivamente, si aspetta solo di vedere e in qualche misura immedesimarsi con il film. Tutto ciò nonostante la vicenda sia incentrata sul ruolo del nokanshi (letteralmente, il maestro di deposizione nella bara), una figura professionale sconosciuta in Occidente, che attraverso un meticoloso rituale prepara le salme dei defunti per l’ultimo saluto. Departures rende la morte e il dolore della perdita una materia antieroica, portatrice di una dignità e di un rispetto lontani da tabù e formalismi sociali; accettabile. E ci riesce scardinando l’immobilismo e l’annichilimento mortifero a cui sembra essere destinato il protagonista, un violoncellista che in seguito alla perdita del lavoro nell’orchestra, decide di trasferirsi nella natia Yamagata, a nord del Giappone, in cerca di un’occupazione, un obiettivo, una motivazione distante dal recente passato. “Il protagonista è un uomo che non aveva mai dovuto prendere decisioni riguardo la propria vita. Sin dalla sua infanzia, altri avevano deciso per lui. Questa è la storia della sua crescita come essere umano e della sua personale scoperta dei propri valori”. L’abilità di Takita Yojiro sta tutta nell’affrontare la morte con la delicatezza, l’amore, l’innocenza di uno sguardo puro lontano da convenzioni e pregiudizi, rendendola contraddittoriamente vivifica, perché se da un lato vediamo la sofferenza del lutto, dall’altro diviene progressivamente tangibile il rinnovamento del personaggio principale: “come nokanshi, egli si accorge che, aiutando gli altri ad accettare la loro perdita, gli risulta più facile fare i conti con la propria”.
Departures ha la capacità di reggersi su uno equilibrio formale e narrativo che permette di tracciare, (r)incorrere, osservare, definire, profili e prospettive dei personaggi che sono a contatto con il protagonista contribuendo all’identificazione e alla costruzione di uno sguardo scomposto anamorficamente in diverse varianti del desiderio. Ne sono un esempio la moglie tanto docile quanto indisposta ad accettare una vita assieme a un compagno impuro (perché questo è il giudizio sociale e culturale verso chi viene a contatto con i morti) e il vecchio maestro nokanshi, un professionista che gode appieno dei piaceri della vita, dal cibo sulla sua tavola alle piante di cui si circonda. Nel delicato mantenimento del gioco delle pulsioni, il regista, attraverso la meticolosa preparazione dei corpi senza vita, come in una composizione artistica sublime e fissata nel tempo, produce uno strappo improvviso e inaspettato, nel quale si insinua la percezione di essere sbirciati nell’imperturbabilità della nostra più inconscia e impronunciabile paura. >> |
Alessandro Tognolo - MC magazine 26 giugno 2009 |
promo |
Daigo Kobayashi è un violoncellista la cui orchestra si è sciolta, lasciandolo senza lavoro. Stanco e privo di speranza, decide di fare ritorno insieme alla moglie alla sua città natale, con l'intento di ricominciare una nuova vita. La ottiene un incarico come nokanshi, praticamente un becchino. Nonostante la moglie e i vicini non nutrano molta stima per ciò che fa, Daigo scopre in questo suo nuovo lavoro ciò che mancava alla sua vita.... Tanti sono i temi proposti: il contrasto città/provincia e modernità/tradizione, l'accettazione della morte come estremo momento della vita, l'essenzialità del Rito nella cultura giapponese. Non senza momenti di humour e situazioni comiche, talvolta surreali ma mai irriguardose. Un film delicato, di struggente poesia, a tratti commovente. |
LUX
- maggio 2010 |
TORRESINO
- giugno 2010 |
cineforum ANTONIANUM/The Last Tycoon 2010-2011 |