Agora
Alejandro Amenábar
- Spagna
2009
- 2h 8' |
Una
volta andava di moda il "peplum". Ci passò anche
Kubrick
con Spartacus, mirando alla grande rappresentazione storica; più tardi,
Ridley Scott diresse un
Gladiatore col ricorso agli effetti digitali.
Nulla di tutto questo in Amenébar anche se ha potuto valersi di un
consistente budget, ricostruendo una convincente Alessandria d'Egitto a
metà del IV secolo d.C., il regista spagnolo pensava a un "peplum"
intellettuale, a una parabola sull'oscurantismo religioso. Se il film esce
tra le polemiche, è perché qui i cristiani in rivolta rappresentano
l'intolleranza e il fanatismo; mentre la bella Ipazia, filosofa e
astronoma, ne raffigura l'antitesi: è il pensiero contro il caos, fulcro
di un film tutto strutturato su opposizioni; e, inevitabilmente, un po'
schematico. |
Roberto Nepoti - La Repubblica |
Nei
film sul mondo antico quasi sempre i cristiani sono vittime miti,
piangenti in preghiera, clandestini tremebondi. Agora
di Alejandro Amenàbar capovolge questa immagine, i cristiani del quarto
secolo dopo Cristo ad Alessandria d'Egitto sono anche fanatici violenti
raggruppati in squadracce, ceffi oscuri e crudeli che fanno il peggio:
bruciano vive le persone, le malmenano al grido «Il Signore è con noi»,
perseguitano brutalmente i non cristiani e gli ebrei «macellai di Nostro
Signore»; assediano, invadono e devastano la seconda Biblioteca di
Alessandria bruciando i rotoli della sapienza, abbattono le statue
scandendo «Alleluja», costringono i militari a farsi battezzare, lapidano,
decapitano, alzano roghi di cadaveri. Contrasta con simile canaglia la
protagonista del film interpretata molto bene da Rachel Weisz: Ipazia,
giovane donna sapiente, figlia del rettore della Biblioteca, maestra di
discepoli, filosofa della razionalità, matematica, astronoma stimatissima
che vive l'amicizia ma rifiuta l'amore di uno schiavo divenuto cristiano
per fede, del prefetto della città divenuto cristiano per opportunismo e
necessità. Ipazia viene attaccata pubblicamente dal capo dei cristiani con
l'accusa anacronistica di stregoneria e fa una morte atroce squartata
viva: parti del suo corpo vennero messe in mostra in città, come mònito
per gli scienziati della ragione e per gli infedeli (il film non illustra
questa fine).
Si capisce che Amenàbar (cileno per nascita e spagnolo per
attività, già autore di
Mare dentro e
The Others) ha
inteso mettere a confronto l'intolleranza sanguinaria delle religioni
(anche attuali) nei periodi in cui lottano per conquistare o conservare il
potere temporale e l'unanimità dei consensi, e la coraggiosa nobile calma
della cultura. Le alterazioni storiche, come è ovvio in un film, non sono
poche, ma il contrasto è raccontato efficacemente. L'ambientazione è molto
accurata (i costumi sono ideati da Gabriella Pescucci); risulta una buona
idea quella di imitare ad alto livello lo stile dei kolossal greco-romani
dei Cinquanta. Così il film su temi nuovi e non facili scorre fluido e
interessante...
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Lietta Tornabuoni - La
Stampa |
promo |
Ad Alessandria
d'Egitto, sotto la dominazione romana nel quarto secolo dopo
Cristo, l'astrologa e filosofa Ipazia lotta per salvare il
sapere del suo antico mondo dalla distruzione. Due discepoli
combattono anche per il suo amore: il privilegiato e spirituale
Oreste e Davus, giovane schiavo, combattuto tra il suo segreto
amore per lei e la consapevolezza che potrebbe guadagnare la
libertà unendosi al Cristianesimo. Un film che, mettendo in scena
un conflitto del passato, evoca un problema dell’oggi ben lungi
dall’essere risolto. Amenábar schiva il rischio del pamphlet e del
contenutismo, schierandosi dalla parte della pluralità del
pensiero contro i padri di tutte le chiese indicando però
responsabilità ben precise. Un film profondamente civile che non
rinuncia alla spettacolarità e al piacere del racconto. |
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LUX
- maggio/giugno 2010
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