One on One (II-dae-il)
Kim-Ki-Duk - Corea del Sud 2014 - 2h 2'

 Giornate degli autori - VENEZIA 71



    È giunto il momento anche nella carriera di Kim Ki-dukfilm precedente in archivio per interrogarsi sul senso di quella ridda selvaggia che è sempre stata la sua carriera. Fin dagli esordi (19 lungometraggi in 18 anni, pur con una pausa di tre anni dal 2008 al 2011), il suo cinema si è aggirato aspro e scatenato tra le pulsioni, i desideri e i dubbi degli esseri umani. Spesso manca una spiegazione razionale per i comportamenti dei suoi personaggi. Il concetto di razionalità e di reale, nel cinema di Kim, sono del tutto interni, soggettivi (Real Fiction si chiamava un suo esperimento teorico datato 2000), forse per questo così respingenti per il pubblico, soprattutto nel suo paese natio, dal momento questi due elementi non seguono alcuna consuetudine quando si tratta di scandagliare l’animo e il corpo di individui lugubri e marginali, privi di qualunque connotazione socialmente etichettabile. L’ultimo Kim Ki-duk, One On One, che ha aperto le Giornate degli Autori nell’ambito di Venezia 71, si propone per la prima volta di riflettere idealmente (ed esplicitamente) su quei canoni rappresentativi che guidano, con una coerenza e una lucidità invidiabili, un intero percorso autoriale.
Alcune personalità dell’esercito, di differenti gradi, vengono rapite da un gruppo di uomini che le tortura e li induce a confessare per iscritto le azioni misteriose che hanno compiuto in una determinata data. Sembrerebbe opera di un’organizzazione paramilitare, ma in realtà si tratta di due sfere di potere (e umane) che si stanno scontrando.
In una fase creativa estremamente autoriflessiva, che non di rado utilizza l’anafora come uno strumento tagliente in grado di svelare le ragioni (ma anche la vacuità delle ragioni) dell'umano agire, Kim ha realizzato probabilmente uno dei suoi film più dolorosi e disillusi. Sadico ed esplicito nel ripagare i cinici soprusi della vita con la loro stessa moneta,
One On One cala i personaggi in contesti quotidiani per poi rapirli e portarli su uno spettrale palcoscenico di cartapesta dove possono essere spogliati della loro dignità, fronteggiando i fantasmi del passato. Rispetto ad altre opere dell'autore, gli si può rimproverare una certa ridondanza verbosa: eppure sono fuor di dubbio l'efficacia e la potenza del materiale filmico, per tacere dello shock di uno spettatore che si ritrova a fare i conti con un sistema sociale in cui il sopruso è la moneta corrente. La rappresentazione di questo sopruso è una novità nel cinema di Kim: per la prima volta il motore degli eventi non è una pulsione umana ben connotata e definita nel tempo e nello spazio, ma un meccanismo di homo homini lupus eletto a linea guida di un intero popolo. In altre parole, One On One è un film meno “universale” (le virgolette sono d’obbligo) e molto più “coreano” rispetto a qualunque altro titolo della filmografia di Kim, da sempre votata all’astrazione. Lo sguardo verso il suo Paese è sconsolato e feroce, e rispecchia le scelte marginali e rinunciatarie proprie del suo autore, da sempre in feroce contrasto con i suoi concittadini. Anche quando la rappresentazione dei personaggi di One On Onesi affievolisce e cessa, si ha l’impressione che essa non termini completamente, ma che continui a perpetuarsi altrove. Un dolore che è in grado di rigenerarsi, di autoalimentarsi, e dal quale non è possibile mai realmente fuggire. Un film dal quale lo spettatore in grado di stare al gioco può uscire arricchito ed emozionato, se accetta tutte le regole del gioco.

Pietro Liberati - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 36