Frances
vive a New York ma non ha un vero appartamento, è un'aspirante ballerina
ma non fa veramente parte della compagnia con cui danza. La sua migliore
amica, Sophie, è per lei un'altra se stessa "con capelli differenti", ma
quando Sophie conosce Patch e si trasferisce da lui, Frances deve imparare
a badare se stessa da sola.
Come Gena Rowland per
Cassavetes, Mariel Hemingway per
Woody Allen o Anna
Karina per Godard, Greta Gerwig si offre all'obiettivo di Noah Baumbach
nella sua eccezionale quotidianità, o quotidiana eccezionalità che dir si
voglia. Il filtro dello sguardo è tanto curioso quanto affettuoso e non si
sa se sia più la Gerwig ad offrire l'anima a Francis, la protagonista del
film, o la sceneggiatura del film, scritta dal regista, ad offrire
all'attrice quanto di meglio potesse chiedere.
Il bianco e nero aggiunge una prospettiva romantica e atemporale che si
adatta alla perfezione a questo ritratto di una ragazza di oggi, in
viaggio da un appartamento da dividere all'altro, che deve fare i conti
con aspirazioni smisurate e soldi contati, ma è allo stesso tempo e prima
di tutto una donna, che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca. Ciò che
invece rende Francis un personaggio, o "carattere", è il possesso di un
punto di vista sul mondo assolutamente personale. Non siamo di fronte ad
una bambinona cresciuta o, se è anche questo, lo è nel suo aspetto meno
comodo e patologico: Francis sa quello che vuole, semplicemente, suo
malgrado, non ce l'ha. Non ha il talento per danzare nella compagnia di
ballo né il potere di impedire alla sua migliore amica di innamorarsi e
andarsene. Eppure guarda al mondo (e cioè vive) con innata gioia, senza
pigrizia, supplendo da sola alle sue stesse continue goffaggini. Non
potrebbe far parte delle "Girls" di Lena Dunham, come la presenza di Adam
Driver potrebbe indurre a ipotizzare, perché non è alla ricerca dell'amore
passionale ma di un'anima gemella, com'è la sua amica, con la quale
divertirsi con poco e amare insieme l'esistenza.
Baumbach, che per primo diede alla Gerwig visibilità internazionale in
Greenberg,
torna a lavorare con lei, nel frattempo divenuta la musa del cinema
indipendente e cosiddetto mumblecore, e realizza questo piccolo gioiello,
leggero, pudico e pieno di vita, anche quando fotografa il fallimento.
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Chissà
perché le donne indimenticate del cinema hanno tutte l'iniziale H nel
cognome: Annie Hall, Adele H. e ora Frances Ha, l'eroina di Noah Baumbach
destinata ad entrare nella migliore ritrattistica femminile su grande
schermo.
27 anni, alta come una giraffa, goffa, complessa e complessata, dal cuore
smisurato, Frances sarebbe stata la Diane Keaton di Allen se avesse
vissuto a Brooklyn ai giorni nostri. E insieme l'Adele H. odierna, se il
suo entusiasmo non avesse retto gli urti di una vita ostinatamente ostile.
D'altra parte Allen e
Truffaut sono due modelli ben presenti nella testa
di Baumbach che, messa parzialmente da parte la sua cinica idiosincrasia
per geeky, hipsters e artistoidi dell'America vuota e sofisticata, ci
regala uno dei più struggenti omaggi alle donne, a New York e alla
Nouvelle Vague.
La qual cosa non sarebbe mai stata possibile senza la totale dedizione
alla causa di Greta Gerwig (co-autrice della sceneggiatura), la cui stella
da oggi splende luminosa nel firmamento alternativo hollywoodiano. Non è
bella Greta ma ha una faccia naturalmente simpatica, con quegli occhi
vagamente malinconici, i nei appena accennati - come se vi si fosse
poggiata la punta di una matita - l'espressione serenamente ammaccata, di
chi è nata per sopportare le botte. La sua Frances è destinata in effetti
a prendere un cazzotto dopo l'altro. Senza dote, a Ny in cerca di fortuna,
precaria in una compagnia di ballo grazie alla quale riesce a malapena a
pagare l'affitto di un appartamento che condivide con l'amica del cuore,
Sophie (l'ottima, magra e occhialuta Mickey Summer), i guai per questa
eterna bambinona iniziano quando il fidanzato (Michael Esper) le chiede di
andare a convivere. Ma Frances non è pronta a dividere la propria vita con
qualcuno. O meglio, non è disposta a farlo con qualcuno che non sia Sophie.
Il ragazzo la molla e a seguire la scarica anche Sophie, che coglie al
volo l'occasione per trasferirsi nel quartiere che desidera da una vita,
Tribeca, ritrovo di artisti e letterati (Sophie lavora presso una casa
editrice, la Random House: tradotto, viene pagata per leggere libri).
Per Frances è l'inizio di una scoraggiante serie di sfortune, in cui si
ritrova tra fasulli figli di papà che si credono artisti arrivati,
principessine della ricca borghesia che la trattano con sufficienza,
adolescenti alle prese con le prime sventure ormonali che la guardano come
se fosse "vecchia", tagliata fuori dal corpo di ballo, costretta ai lavori
più umili, a rimediare un letto nei dormitori scolastici e così via,
sospinta in retromarcia là dove si squagliano i sogni.
Insomma, New York non è più quella romantica di Allen, ma non è nemmeno la
Roma che frustra le aspirazioni dei nostri studenti. È una città
incantevole e forse bugiarda, una metropoli che ti risucchia e ti sputa
via, dove è ancora possibile però nutrirsi di stimoli, conoscere qualcuno
che ti voglia bene davvero, condividere un sorriso. Illuminata dal
folgorante bianco e nero di Sam Levy e catturata dallo sguardo limpido,
pulito e geometrico di Baumbach, la città è la vera co-protagonista del
film. Da Lei si effonde questo umore di mezzo, l'understatement che
ammorbidisce ogni passione, ogni gag, ogni sciagura. E trasfigura ogni
durezza in qualcosa di molle, desolante ma in definitiva accettabile.
Vincente poi la scelta di trattare l'amicizia di Frances e Sophie come
fosse una storia d'amore ("Siamo come una vecchia coppia lesbica che
non fa più sesso", si diranno l'un l'altra), con le fasi, i crucci, i
litigi e le riconciliazioni che ogni storia di questo tipo si porta
appresso. E poi c'è Greta. La sua vitalità non sembra contenibile da
niente e nessuno. Mentre corre e saltella sulle notte di Modern Love
di David Bowie, vorremmo essere là con lei. Abbracciarla, coccolarla,
dirle cose intelligenti. E, senza altro indugio, amarla.
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