Edmond
è cinema-teatro allo stato puro. Tratto da una impeccabile
sceneggiatura di
David Mamet
, scarna, essenziale, piena di
significanti e significati, ma per crudezza del testo rifiutata e, di
conseguenza, trattenuta in fondo al cassetto finché non si è
presentata l’occasione ad hoc per renderla scena-film-spettacolo
<< – per
pudica volontà dello stesso Mamet che, innamorato del suo plot non
voleva rinunciarci o ridurlo alla mercè del primo produttore
politically correct –
Edmond è stato alla fine affidato alle abili
mani di Stuart Gordon, regista americano noto per le sue rivisitazioni
cinematografiche scaturite dai racconti di H.P.Lovecraft o per il
fantasy epico
Dagon, che con questo primo bagno nel thriller (anche se
è riduttivo definire con un semplice genere questa pellicola), si è di
sicuro guadagnato, ulteriormente, un piccolo posto nel Paradiso dei
cinephilés.
Storia trasgressiva, inquietante, nelle migliori abitudini ed
intenzioni di Mamet che riesce sempre a stupire, ma qui con un punto
di maturità notevolmente maggiore.
Edmond narra di un agente di cambio insicuro ed
insoddisfatto del suo lavoro e della sua vita coniugale, posti ormai
su binari noiosi e disperatamente uguali a se stessi, giorno per
giorno, sempre più: prova allora a dare un taglio a tutto, nel giro di
poco, dando inizio ad una caduta libera che è, in
realtà, una discesa agli inferi con tutti i crismi.
Il baratro sembra attenderlo ed in effetti lo ghermisce, lo avviluppa
ma si sa, toccato il fondo, inizia la risalita, la rivalsa, il
recupero ed il riscatto.
Nel luogo che può rappresentare l’abiezione massima, paradossalmente
ma neanche tanto, pare avvertirci Mamet, si può ritrovare un se stesso
perduto o, meglio, dato per perso in maniera definitiva: e il
paradosso sta proprio nel finale salvifico che qui non si descrive,
per nulla togliere alla visione della intelligente soluzione della
sceneggiatura che pure, ancor più paradossalmente, ma non poi così tanto,
avrebbe potuto avere altri due plausibili finali; al contrario, la
scelta del terzo, definitivo e si diceva – a modo suo salvifico, non
sicuramente bigotto - è stata quanto mai appropriata.
Magistralmente interpretato da William H. Macy – amico di Mamet e
perfetto e felice, ma non pedissequo, trascrittore dei suoi intenti (come ha avuto modo di
dichiarare in conferenza stampa) -
Edmond
si
avvale pure di un cameo di rilievo, una piccola comparsata di Joe
Mantegna, l’attore feticcio di Mamet fin dall’opera prima, sempre
insuperata,
La casa dei giochi la cui
interpretazione, seppur a livello subliminale, rimane la seconda più
importante del testo filmico, visto che a seguire, passo passo, Edmond,
il protagonista, applica alla lettera i suggerimenti che Mantegna/Angelo
del Male/realista direttore spirituale? gli ha propinato durante una
serata-sfogo tra amici al bar in incipit al film.
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