Questo
film è forte. Molto forte. Perché quando una storia è vera tutto diventa
più intenso. Quando finisce tragicamente ci si commuove di più. E quando
riguarda una condanna a morte ingiusta — sempre che possano esistere
condanne a morte non ingiuste - è ancora peggio. Tanto che rischia di
diventare troppo. Siamo in Spagna tra il 1973 ed il '74 e Salvador è
Salvador Puig Antich, l'ultimo condannato a morte per motivi politici del
regime franchista. Il film racconta i disperati e inutili tentativi per
salvarlo di amici, parenti e avvocati. Ed a montaggio alternato, con
l'espediente del suo racconto all'avvocato gli ultimi mesi prima
dell'arresto. La fuga da casa, la militanza nel gruppo di estrema
sinistra, gli amori, le canne, le armi e le rapine. Fino alla trappola
finale: il conflitto a fuoco in cui Salvador uccide un poliziotto e viene
arrestato. Ritmo serrato, bravi attori e notevole la ricostruzione degli
anni Settanta. Che poi era solo trent'anni fa ed è sorprendente come un
paese possa passare in così poco tempo da una buia dittatura a Zapatero. |
Il
rischio di un film sulla Storia del passato è spesso duplice: quello di
essere «scontato» (sappiamo già tutto quello che è avvenuto), con il suo
quasi obbligatorio corollario (per non annoiare lo spettatore, il regista
e gli sceneggiatori si rendono troppe libertà. Spesso gratuite) e quello
di essere «illustrativo», di rifugiarsi cioè in una ricostruzione visiva
tanto accurata quanto sterile. Salvador -26 anni contro non è scontato né
illustrativo, anche se ricostruisce un fatto di cronaca (meglio: di
cronaca-politica) che dovrebbe essere conosciuto: l’esecuzione per garrota
dell’ultimo prigioniero politico di Spagna. Non è scontato perché evita la
strada più facile dell’invettiva politica (la Spagna era quella di Franco
alla fine del suo potere, nel momento delle feroci repressioni poliziesche
di inizio anni Settanta) e non è illustrativo perché cerca di scavare
nella testa e nel cuore di un giovane ventenne che mette in gioco la sua
vita per tener fede alle proprie idee.
Al centro del film c’è infatti Salvator Puig Antich, studente
universitario catalano che sul finire degli anni Sessanta passa dalla
contestazione studentesca alla costituzione del MIL, il Movimiento Ibèrico
de Liberaciòn, influenzato dai pensiero anarchico e trotzkista,
responsabile di una serie di rapine nelle banche spagnole per finanziare
la lotta operaia che stava crescendo al di fuori delle organizzazioni
tradizionali della sinistra.
Il film si apre con l’arresto di Salvador, il 25 settembre 1973, e con lo
scontro a fuoco (dalla dinamica piuttosto ambigua) durante il quale
Salvador fu ferito gravemente mentre un poliziotto della Brigada Politico
Social restò ucciso; usa i colloqui in carcere con l’avvocato difensore
per mettere a conoscenza anche dello spettatore il suo passato di
militanza e di clandestinità, a cavallo tra la Spagna e la Francia, dove
si nascondevano molti fuorusciti; e poi segue con sempre maggior
puntualità l’ulti mo periodo della sua vita, con la condanna del tribunale
militare, la conferma in appello della sentenza di morte e il rifiuto
della grazia che portò all’esecuzione del 2 marzo 1974, secondo il barbaro
metodo della garrota (una vite manovrata dal boia stringe sempre più il
collo del condannato fino a spezzargli le vertebre).
Alla sua uscita in Spagna il film di Manuel Huerga, così come il
romanzo-inchiesta di Francesco Escribano da cui Luìs Arcarazo ha tratto la
sceneggiatura, sono stati duramente attaccati dagli ex militanti del MIL.
Contestavano l’ambigua identità sociale della famiglia da cui proveniva
Salvador (nella realtà meno popolare di quella vista al cinema, il che
avrebbe finito per stemperare la valenza antiborghese delle sue scelte) e
soprattuttola vaghezza in cui erano state lasciate le motivazioni
politiche e le azioni rivoluzionarie del movimento.
Eppure proprio questa «indeteriminatezza» nella ricostruzione del passato
militante di Salvador finisce per diventare uno dei pregi non secondari
del film, che evita in questo modo le tirate retoriche quasi obbligate in
questi casi (i pochi passi falsi del dialogo si riferiscono proprio alle
discussioni «teoriche» tra i militanti) per cercare di raccontare lo
spirito ribellstico che in quegli anni portava tanti giovani a scelte
sempre più radicali.
Mettere sullo stesso piano le manifestazioni antifranchiste e l’amore per
Margalida, il legame strettissimo con le quattro sorelle e la tentazione
delle armi, l’amore per il rock (in colonna sonora si sentono, tra gli
altri, Leonard Cohen e Bob Dylan, i Jethro Tull e i King Crimson) e quello
per l’ex fidanzata Cuca, le convinzioni antifranchiste e la paura di
morire non vuol dire «tradire» la realtà storica ma cercare di usare il
cinema per scavare dentro le tante contraddizioni di una vita che a 26
anni è obbligata a confrontarsi con la morte. |