Mike
Terry, veterano della Guerra del Golfo, è un insegnante di Jiu-Jitsu
che lavora alacremente nella propria scuola di arti marziali e
autodifesa, essendosi sempre rifiutato di combattere a pagamento.
Nonostante gli affari vadano male, la sua condotta è impeccabile, ma
quando per una serie di eventi fa la conoscenza di un organizzatore di
incontri e di una star del cinema, la sua vita cambia per sempre.
Stavolta David Mamet
gioca in casa: il regista pratica da anni le arti
marziali, e sa come trattare la materia di cui parla.
RedBelt
è un film sui valori, la spiritualità e la filosofia sottesa al
concetto di Jiu-Jitsu, e non certo un film dove ci si picchia dal
primo all'ultimo minuto, avvertenza questa necessaria per i cultori
delle arti marziali che potrebbero travisare il contenuto del film. A
questo si aggiungono i sempre scoppiettanti dialoghi, usciti da una
penna stavolta particolarmente felice, che confermano l'abilità di
Mamet nel costruire personaggi interessanti e nel dare spessore e
profondità a una storia ricca (forse persino troppo) di colpi di
scena, coincidenze e appuntamenti col destino. Nel cast, che offre una
delle rare prestazioni "serie" del comico Tim Allen, spicca la bravura
di Chiwetel Ejiofor, credibile nella parte assegnatagli e capace di
mostrare con indubbia efficacia il dilemma vissuto da un samurai post
moderno, da un vita rispettoso del codice di condotta ma adesso
blandito dalle tentazioni economiche di competere nel circuito
professionista delle arti marziali. Film sportivo ma non troppo, ricco
di felici intuizioni (le tre palline bicolori) e di una grande prova
di recitazione da parte del variegato cast,
RedBelt
conferma il talento di uno dei più celebrati drammaturghi del dopo
guerra: non siamo ai livelli di Americani, ma stavolta ci siamo andati
molto vicini. |