Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit)
Jean-Pierre e Luc Dardenne - Belgio/Italia/Francia 2014 - 1h 35'

Cannes 67- In concorso

    Non tradisce le aspettative la premiata ditta film precedente in archivioDardenne & Dardennefilm successivo in archivio(già vincitrice due volte a Cannes, nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’Enfant), approdati a Cannes con il loro Due giorni e una notte, magnificamente interpretato da Marion Cotillard.
Il film parte da un assunto semplicissimo: una piccola fabbrica di pannelli solari in crisi (come quasi tutta l’industria belga ed europea di cui è simbolo) pone i propri sedici dipendenti di fronte a una vera e propria alternativa “del diavolo”: rinunziare al bonus di 1.000 Euro previsto per la fine dell’anno o consentire che la più debole di loro, Sandra, operaia depressa, assenteista per malattia o forse solo per stanchezza, venga licenziata. La votazione definitiva e segreta (dopo una prima palese e invalidata) si terrà il lunedì. I due giorni e la notte del titolo sono il tempo che rimane a Sandra, sostenuta e spronata dal marito, sempre presente al suo fianco (nonostante tutto ciò non faccia bene al loro matrimonio: “sono quattro mesi che non facciamo l’amore”), e dall’amica Juliette, per convincere i colleghi di lavoro (di sventura?) a rinunziare al bonus permettendole di conservare il posto e lo stipendio di cui la sua famiglia ha assolutamente bisogno. Non c’è sindacato, non c’è possibilità alcuna di aiuto e mediazione dall’alto; ognuno sarà solo di fronte alla propria coscienza, morale individuale, certo non più di classe. Comincia così il pellegrinaggio di Sandra che, inforcata la bicicletta, si reca a visitare uno a uno i sedici colleghi, chiedendo non per pietà, ma per solidarietà e giustizia di votare a suo favore…
Con un ritmo teso, quasi ipnotico, comunicando di continuo allo spettatore, che mentalmente l’accompagna, l’angoscia della protagonista, i Dardenne ci guidano attraverso le più diverse personificazioni di questa classe dispersa e impotente che non può più chiamarsi operaia. Ognuno ha la sua risposta, il suo atteggiamento; tutti hanno il loro buon motivo per non rifiutare il bonus: una vacanza da tempo programmata, una recente separazione, i mobili già ordinati, la figlia cui pagare le tasse universitarie. Altri accettano facendo appello ad un ultimo sussulto di umanità. Sandra, che viene dal loro stesso mondo, non li giudica; ora si vergogna, ora si esalta, ora si deprime, vorrebbe lasciare tutto ad ogni rifiuto (c’è persino un maldestro tentativo di suicidio a base di Xanax), poi, rincuorata da un nuovo sì, riprende la sua peregrinazione.
Scorrono di fronte a noi i tipi umani più diversi e più comuni: l’immigrato arabo dal doppio lavoro, quell’altro la cui moglie è stata appena licenziata, la collega Anne che approfitta dell’assurdo rifiuto del marito (sono quelli che stanno meglio) per lasciarlo, il ragazzo africano incontrato per ultimo di notte alla lavanderia automatica che vorrebbe ma non può perché sotto la spada di Damocle di un contratto a termine. Ognuno teme che il licenziamento di Sandra sia solo l’inizio, poi potrebbe toccare a lui. Tutto molto sofferto, molto ben articolato, molto vero.
E ci sono momenti di grande cinema, come quando Anne, che non sa dove andare a dormire, si unisce al viaggio di Sandra: sono in macchina mentre suona una musica rock, sono ancora giovani, hanno ancora una speranza.
Viene il fatidico lunedì. Il finale è un po’ a sorpresa (otto contro otto!?), ma comunque esaltante. Svuotato l’armadietto, messa dalla dirigenza di fronte a un’alternativa umiliante, Sandra ha il coraggio di rifiutare, è comunque più forte, ha una nuova coscienza che le consente di affrontare la vita con fiducia e orgoglio (“comunque ci siamo battuti bene”).
Magnificamente strutturato, vero fino al midollo nel mostrare la realtà del mercato del lavoro oggi in Europa - diventato ormai una specie di reality show dove le uscite sono crudeli, tutti sono ricattabili e possono essere “spesi” gli uni contro gli altri in un gioco al massacro di cui non si vede la fine - il film sembrava il più forte candidato alla Palma d’Oro. Non è andata così (d’altra parte nessuno ha mai vinto la Palma tre volte). Già uscito in Francia, lo aspettiamo nelle nostre sale a ottobre.

Giovanni Martini - maggio 2014 - pubblicato su MCmagazine 36

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Sandra, moglie di Manu e madre di due bambini, è stata licenziata per esubero di personale. La proprietà ha messo ai voti la decisione, però ponendo gli altri operai di fronte a un’alternativa: o lasciare a casa la donna, o mantenerle il posto di lavoro ma rinunciando al premio di produzione, un bonus di mille euro. Di cui tutti hanno, più o meno, bisogno. Pur tra mille dubbi Sandra accetta le esortazioni del marito e, nel corso della domenica che precede la votazione, fa visita uno dopo l’altro ai suoi colleghi… Il soggetto è lineare; però i Dardenne (due Palme d’Oro a Cannes!) lo svolgono con la tensione di un “suspenser” tenendoti in allerta su come andrà a finire quasi si trattasse di un film di Hitchcock. La crisi ha il volto di Marion Cotillard. Nessun glamour, solo talento: rabbia, compassione, istinto mai domo alla lotta di classe, ferocia e tenerezza la accompagnano nella sua odissea contro un mondo arido e disumanizzato.