Il curioso caso di Benjamin Button
(The Curious Case of Benjamin Button)
David Fincher
– USA
2008
- 2h 49'
|
Curiosissimo
davvero. Benjamin nasce nel 1918, fine della guerra, a New Orleans ed è
già vecchio, rugoso, grinzoso, non è un neonato normale. Abbandonato dal
potente padre e dalla madre che muore di parto, è allevato da una donna di
colore. La disfunzione temporale creata da Scott Fitzgerald in un racconto
ora adattato a «graphic novel» da Guanda e frequentata da altri (Gombrowicz,
Vitrac) è che mentre il tempo passa si ringiovanisce: Ben morirà neonato
nel 2005. È un guaio per tutti: tanto che la sua fiamma (la luminosa
ballerina Cate Blanchett) racconta tutto morente dal letto d'ospedale la
notte in cui l'uragano Katrina fece scempio, ma s'incrocia con l'età di
Brad Pitt solo per un momento: l'amore fugge per tutti. È questo il lato
bello, poetico e struggente di un viaggio nel tempo ispirato da una frase
di Mark Twain («La vita sarebbe felice se potessimo nascere a 80 anni e
gradualmente giungere ai 18»), sceneggiato con abilità dall'Eric Roth
di
Forrest Gump:
c'è un colibrì al posto della piuma, ma è sempre la sintesi di
un'emozione, un ricordo (la gag dei fulmini).
David Fincher si è sempre
buttato senza rete nell'inconscio, nella follia (da
Seven a
Zodiac)
e qui prende l'occasione giusta per fare un salto in alto nel tempo e
nello spazio, con avvio clamoroso anche se i trucchi di Rick Baker sono
prodigiosi, ma non si ha mai l'idea di un bimbo. Poi il film si allunga e
si gode come chewing gum, talvolta torna il sapore forte dell'idea
originale, la lotta proustiana contro il Tempo che Resnais girò in
Providence, altrove il filo si allenta, prendendo scorciatoie
sentimentali. E affiorano temi fitzgeraldiani, notti tenere di jazz e
caviale (è magica la parte con Tilda Swinton), ma il continuo trasloco
d'epoche e look appesantisce un film di 166 minuti che non trova sempre
l'equivalente visivo al «vorrei» dell'autore. Comunque piacerà tantissimo.
Anche perché, volere o no, il contrasto con il tempo ci appartiene e
piacerebbe provare questo sgambetto. |
Maurizio Porro - Il
Corriere della Sera |
L'uragano
Katrina ruggisce contro le finestre di una stanza d’ospedale. Distesa sul
letto Daisy (Cate Blanchett), assistita dalla figlia (Julia Ormond),
aspetta la morte e l'approssimarsi della tempesta che devasterà New
Orleans, sommergendo un vecchio orologio costruito da un padre annichilito
dalla scomparsa del figlio. Le lancette di quell'orologio, muovendosi a
ritroso, sono il countdown delle ore che precedono le perdite irreparabili
di cui è intessuta la vita di ognuno.
Il tempo di Daisy sta per finire, gli ultimi minuti quelli che non possono
più ferire o fare del male. Chiede alla figlia di leggerle un diario
custodito tra le sue cose. Pagine e pagine scritte da Benjamin Button (Brad
Pitt) che narra il suo straordinario e assurdo destino. Quello di un uomo,
nato nel 1918, nel giorno in cui si festeggia la fine della guerra. La
madre muore durante il parto e il padre Thomas Button (Jason Flemyng),
sconvolto dal suo aspetto lo abbandona sulle scale di una casa di riposo
gestito da Queenie (Taraji P. Henson). Benjamin è un neonato ma ha
l'aspetto rugoso e fragile di un ottantenne. La sua avventura attraverso
il Novecento è segnata dal passaggio inesorabile dal tramonto all'alba
della sua esistenza. Nato anziano e malfermo sulle gambe, crescerà
ringiovanendo anno dopo anno: il vecchio imprigionato nel corpo di un
infante diventerà un giovane con un’anima attempata.
Il curioso caso di Benjamin Button
di David Fincher (uno dei talenti più strutturati e floridi del cinema
americano moderno), ispirato a un breve racconto di F.Scott Fitzgerald ed
esito di una lunghissima gestazione, è una commovente e calda meditazione
sul tempo (biologico e cinematografico), un affresco di temi ed emozioni,
l'odissea di un Candido che più che decifrare o elaborare pensieri
profondi o acuti sugli eventi della Storia si chiede quanto si possa
essere eroe e protagonista della propria storia, di quella vicenda
circoscritta, limitata e provvisoria, che tutti si trovano ad
interpretare. Benjamin Button sta alla prima metà del secolo scorso come
Forrest Gump sta alla seconda.
Le analogie tra i due film e i due personaggi sono dovute allo stesso
sceneggiatore, Eric Roth. Abbandonandosi (azione non casuale e patto di
fiducia proposto dal film allo spettatore ) al flusso delle immagini -
lavorate con scrupolo e qualche eccesso manieristico dal regista - alla
voce narrante, alle oscillazioni affettive tra presente e passato, alla
mappatura dei paesaggi e dei passaggi psicologici, si apprezza la fusione
tra tecnologia, effetti speciali, "trucco" e valori di un racconto
sviluppato secondo le norme della sintassi classica. Come
Big Fish,
altro film meraviglioso sul desiderio di inventarsi e di sostenere il peso
di una biografia insolita, Benjamin Button è un film sull’amore assoluto.
L’amore materno sembra prevalere sulle altre accezioni possibili, quali la
passione, differita dal diagramma anagrafico, tra il protagonista e Daisy,
l'amore sovrastato dalla nostalgia per i familiari e gli amici perduti,
l'amore di due solitudini nelle notti di parola spese nella cucina di un
albergo.
Il film ci rammenta che il tempo continua ad essere una convenzione. Un
décalage di coincidenze, di inversioni di marcia, di bivi e ardui
tornanti. Il nostro personale orologio accelera, frena, si inceppa. Per
qualche frazione di secondo ci disloca in un flashback dell’esperienza.
Vale la pena nuotare, conoscere tutto sui bottoni, ballare, essere colpiti
da un fulmine, essere madri perché la vita e l'amore sono in prestito e,
prima o poi, bisogna restituirli. |
Enrico Magrelli –
cinematografo.it |
promo |
Diceva Mark
Twain: "La vita sarebbe infinitamente più felice se solo
potessimo nascere a 80 anni e gradualmente raggiungere i 18".
Così, da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald, David
Fincher costruisce (dopo
Seven
e
Fight Club)
un altro film memorabile.
Nato vecchio Benjamin vive la sua vita a ritroso
ringiovanendo ogni giorno, mentre i suoi cari se ne vanno. La
breve felicità coincide con la migliore età del biondo Brad Pitt
(bello e bravo come non mai) in cui l'amore (concretizzato nella
fulgida presenza di Cate Blanchett) sembra coronare il sogno
romantico dell'eroe. Ma che vada in avanti o all'indietro il tempo fugge
inesorabile... |