da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
È una storia
di fantasmi
Cuore sacro
di Ferzan Ozpetek
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da Il Manifesto (Silvana Silvestri) |
La nota del melodramma è sempre tenuta alta, Ozpetek sa come muovere i fantasmi messi sulla carta da Gianni Romoli, è comune l'esigenza di mettere in scena l'assenza, il desiderio di ritrovare i segni delle tante persone scomparse. E nel climax del film si scatena la visione francescana (anche quella dei dervisci, o di altre religioni, dice Ozpetek, ma a noi piace il riferimento rosselliniano), san Francesco all'Anagnina. Irene vede la povertà dilagante, si spoglia di tutto, usa il palazzo avito per l'accoglienza e per creare una mensa, aiutata da un prete al suo fianco che porta il nome impegnativo di padre Carras (Massimo Poggio). Sulla direttrice Powell-Pressburger-Ophüls-Tourneur-Friedkin-Rossellini, incrociamo la palpabile messa in scena della vera realtà invisibile, quella della sofferenza e della povertà, lo scandalo delle società opulente, del capitalismo avanzato. Utilizzando il genere «ghost» si materializzano le comunità, la società alternativa, penetrando nel film si compie una sorta di via crucis laica o religiosa, con alcune poste ben visualizzate come ad esempio una «pietà» pericolosa a mettersi in scena con Andrea Di Stefano un po' Cristo e molto Che Guevara. Come sempre Ozpetek utilizza gli attori in modo differente, originale nelle scelte e sovversivo rispetto alla consuetudine (i bei volti maturi come sa fare il cinema francese, spagnolo, inglese, chiunque tranne il cinema italiano). Se Moretti ne La stanza del figlio ha voluto coinvolgere tutti nella sua personale riflessione sulla morte e Bellocchio ci ha dato un approfondimento problematico ne L'ora di religione, Ferzan Ozpetek in Cuore sacro spalanca le porte dell'emozione. Così ha proceduto nella messa in scena e con gli attori, così la raccolgono gli spettatori, frastornati da tanta sovrabbondanza di domande. |
cinélite
TORRESINO
all'aperto:
giugno-agosto 2005