Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l'armadio
(The Chronicles Of Narnia: The Lion, The Witch & The Wardrobe)

Andrew Adamson -
USA 2005 - 2h 20'

 


sito ufficiale

    Esiste uno spazio principe per la fiaba cinematografica? Papà Disney ci aveva insegnato che niente poteva dare pregnanza al mondo delle favole come il cartone animato e solo Judy Garland e l’estro di Victor Fleming avevano provato a contraddirlo (Il mago di Oz). Dalla fine degli anni 70 storie più complesse e dark hanno però varcato le soglia dell’immaginario collettivo percorrendo i sentieri della fantascienza (E.T. e Star Wars) e dell’incontaminato regno della fantasy: da I banditi del tempo a Legend, da Ladyhawke a Willow, dalla Storia Infinita a quella Fantastica
Ora, dopo le intrepide avventure del maghetto di Hogwarts e il gotico sulfureo dell’epopea tolkeniana , il regno della fantasia sullo schermo non conosce confini e le magie del digitale (affrancate da budget altisonanti) osano dare corpo ad un altro classico della letteratura per ragazzi,
Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio.
Il maxi-libro di Clive Stiples Lewis (sette tomi a costituire un’unica saga) e questa (parziale) fedele trasposizione di Andrew Adamson vanno affrontati, crediamo, nella leggerezza di una favolistica per l’infanzia che lascia “fuori dall’armadio” le dietrologie cristologiche e le strategie new-age. E ci sono alcune idee di sceneggiatura cinematografica che fanno brillare al meglio questo terzo lavoro del regista di
Shrek. In primis quella di concedere più spazio, in apertura, alle contingenze storiche di una generazione di ragazzi che ha dovuto coniugare le propria voglia d’ingenuità fantastica con il cupo dramma della guerra. Il rombo dei bombardieri che vomitano su Londra il loro carico di distruzione invade lo schermo assieme al balenio delle esplosioni. Lucy, Edmund, Susan e Peter, i quattro fratelli Pevensie, assistono quasi rapiti al fulgore della tragedia, poi, sospinti dal senso del pericolo, fuggono dalla loro casa, si nascondono nel rifugio antiareo… Ben presto, di malavoglia, vengono mandati in campagna (“se papà fosse qui non lascerebbe che la mamma ci mandasse via” – “se papà fosse qui vorrebbe dire che la guerra è finita”): la loro destinazione da “sfollati” è un antico castello inglese, abitato solo dal vecchio professor Kirke e dalla sua governante. Tra racconti davanti al camino e giochi spensierati, il destino li porta a varcare la soglia di una mondo incantato: in quell’entrare in un armadio, il cui fondo all’improvviso svanisce per dare concretezza al candore di un fiabesco bosco innevato, sta tutta la magia narrativa de Le cronache.

Quello che poi accadrà lì, nel regno di Narnia, è poca casa al confronto. E in tal senso emergono i limiti del lavoro di Adamson. Se Lewis coevo e amico di Tolkien, aveva stupito il mondo letterario di allora con la grandiosità del suo universo fantastico in cui albergano animali parlanti, centauri, unicorni, minotauri, grifoni, Narnia-il film ha alle spalle una ricca tradizione fanta-cinematografica per cui è arduo creare ancora innovazione e stupore. Ma se la fascinazione langue e il ritmo non sempre è all’altezza, sono davvero suggestivi gli ambienti e i personaggi (dal fauno Mr. Tumnus agli intrepidi castori) che abitano lo schermo magico di questo Natale. Natalizia non è infatti solo l’uscita nelle sale della pellicola della Disney, ma pure i riferimenti narrativi che vedono il gelo imperante su Narnia quale maleficio della Strega Bianca che ha esiliato, assieme ai colori della natura, anche Babbo Natale e la sua slitta carica di doni. Il fulcro del racconto è comunque nel ritorno del re, il leone Aslan, che radunerà l’esercito dei buoni, darà coscienza e coraggio ai quattro fratelli, si immolerà per salvare Edmund, tornerà in vita per partecipare alla battaglia finale e divorare la perfida Regina delle Nevi.

Adamson ha ben imparato la lezione dell’epica degli scontri (da Braveheart a Il Signore degli Anelli), ama dare potenza allo sguardo del cinema con inquadrature a perpendicolo, cala la cinepresa, con improvvisa efficacia, a ridosso dei protagonisti; lo sostengono la sempre perfetta aderenza del cast e le incredibili potenzialità della computer-graphic che sa che disegnare Aslan con strepitoso realismo. Ma il tocco fiabesco trova suggello nella breve sequenza che riemerge mentre già scorrono i titoli di coda: ricordate l’occhio languido del padre di Wendy ne Le avventure di Peter Pan? Per non perdere l’innocenza della propria infanzia e non emarginare il proprio alter-ego fantastico, bisogna aver fiducia di ritrovare, ad ogni età, la porta magica del nostro armadio dei sogni.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  1 gennaio 2006

 

 

 

 

 

  
   L
’unico “esemplare” di quella porta che conduce al mitico mondo descritto da   Lewis lo si può trovare a Padova, nel sagrato del Santo. Due porte (una, socchiusa, rivolta verso Pontecorvo - l’altra, chiusa, verso Prato della Valle) sono scolpite sul basamento della statua equestre di Erasmo da Narni, detto il Gattamelata. Narni e Narnia: l’assonanza è evidente. Lewis, insigne medievalista, professore di Oxford (qualcuno lo ricorderà nel ritratto romantico-biografico che lo vede protagonista di Viaggio in Inghilterra) aveva bene in mente, grazie alla sua cultura classica e ai suoi viaggi in Italia, sia la porta misteriosa scolpita da Donatello, sia l’aura incantata dei paesaggi innevati dell’Umbria. Narni, o meglio Narnia come in origine, non poteva che essere, per un latinista come lui, il nome giusto da attribuire al quel mondo fantastico.