Star
calda del momento, produttore già rodato, George Clooney
esordisce nella
regia con un film non privo di originalità e che tuttavia si bagna,
singolarmente, in una specie di "moda" stagionale. Mentre la storia,
incredibilmente vera, ricorda un po' quella di Frank Abagnale, il
protagonista della recente commedia di Spielberg
Prova a prendermi, diverse citazioni -
e più in generale il contesto - evocano
Autofocus
di Paul Schrader, uscito appena un paio di settimane fa.
Confessioni di una mente pericolosa
racconta la doppia vita di Chuck Barris, mitico produttore e conduttore
televisivo (sua la responsabilità dei programmi di cui i vari "Gioco delle
coppie" e "Corrida" sono dei cloni), ma anche agente della CIA e killer
durante la guerra fredda. La doppia personalità dell'uomo fu rivelata da
un libro di memorie autobiografico, in cui Barris confessava delitti di
due tipi: l'uso dell'etere per trasmettere varietà "puerili e instupidenti"
e l'assassinio di 33 persone. Le due occupazioni del protagonista sono
perfettamente complementari: in crociera premio con i vincitori del "Gioco
delle coppie", l'intrattenitore di successo può compiere indisturbato le
sue missioni omicide tra Helsinki e Berlino Ovest godendo della più sicura
tra le coperture. Finché la sindrome schizoide di cui soffre non si
manifesta in maniera devastante: smembrato tra celebrità e clandestinità,
diviso tra la donna che lo ama, Penny (Drew Barrymore), e la bella agente
generata dalla sua immaginazione (Julia Roberts), Chuck non sa più chi è,
né che fare. La qualità migliore della sceneggiatura di Charlie Kaufman (Essere
John Malkovich,
Il ladro di orchidee) risiede nella
capacità di sottolineare i rapporti che intercorrono tra l'America,
euforica e narcotizzata, della tivù in fase di irresistibile ascesa e i
delitti dei servizi segreti: in fondo, due forme di cinismo perfettamente
complementari. Clooney - che sullo schermo appare con i baffi e gli
abbigliamenti assurdi di Jim Byrd, il superiore di Chuck, adotta
un'iconografia alla
Tenenbaum, ricalcando climi e colori
d'epoca, e dà alla storia un ritmo grottesco e concitato, prossimo allo
stile del suo amico (e, qui, produttore) Steven Soderbergh; salvo
sostituirvi, verso la fine, un tono progressivamente più drammatico. Col
limite veniale di una certa discontinuità, Confessioni di una mente
pericolosa rappresenta quel che si dice un buon debutto.
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La storia
narrata da Chuck Barris nel suo libro pseudoautobiografico (Sonzogno) è
una spiritosa invenzione: il personaggio televisivo che venti e più anni
fa fece impennare l'audience con "The Gong Show" (variante della Corrida),
non è mai stato un agente CIA e soprattutto non ha mai assassinato 33
persone. L'ha confermato Roger Ebert sul Chicago Tribune aggiungendo:
«Essendo stato io stesso coinvolto in uno show tv settimanale, so per
dolorosa esperienza che fra una registrazione e l'altra non avrei trovato
il tempo di volare a Helsinki a uccidere qualcuno per conto del governo».
A chi si domanderà perché Barris inventò l'assurda bugia è facile
rispondere che fu un tentativo per riaccendere su di sé l'attenzione
mentre il Gong cominciava a suonare a vuoto. Purtroppo, però, il pubblico
non cadde nella trappola, il libro finì ai Remainders ed è lì che lo pescò
qualcuno del cinema. Se fossi George Clooney mi terrei comunque alla
larga, per l'avvenire, dallo sceneggiatore Charlie Kaufman, che si è fatto
un piccolo nome fra gli snob di Hollywood per un paio di copioni
intellettualistici. Simile in questo a Chuck Barris, Kaufman mente come
respira: nel caso di
Il ladro di orchidee
è arrivato a inventarsi un fratello gemello:
Confessions
of a Dangerous Mind
è diventato l'ambigua rivisitazione d'un caso clinico... |