da Il Tempo (Gian Luigi Rondi) |
Torna John Fante, lo scrittore italo-americano, nato in Colorado da una famiglia di emigranti, di cui si è già visto, ridotto per il cinema, il primo dei suoi romanzi, Aspetta primavera, Bandini. Lì ricostruiva le vicende del padre, un muratore abruzzese diviso fra la moglie e i figli e un’avventura con una ricca americana. Nel film di oggi, riscritto sulla base del suo libro più celebrato, Chiedi alla polvere, da Robert Towne, il regista di Tequila Connection, si ricostruiscono le vicende dello stesso Fante, nascosto sotto il nome di Arturo Bandini, quando cominciò sotto auspici piuttosto negativi la sua carriera di romanziere a Los Angeles, dove era arrivato povero in canna dal natio Colorado, soprattutto desideroso di imporsi in una società, indurita dagli anni della Depressione, in cui il suo nome italiano era ostacolo. Eccolo comunque incontrare una cameriera messicana, Camilla Lopez, anche lei ansiosa di liberarsi dalle sue origini per vincere il razzismo da cui attorno era oppressa. Tra i due esplodeva l’amore, tenuto però a freno da entrambi perché poteva impedire quell’integrazione nella società americana al vertice delle loro comuni aspirazioni. Da qui un’altalena di situazioni contraddittorie e contrastanti che, se a un certo momento non impedirà a lui di farsi un nome nelle lettere americane, vedrà lei a poco a poco soggiacere alle droghe e alla tisi, chiudendo precocemente una vita in cui non aveva quasi conosciuto la felicità. Una storia d’amore, ma anche, per il personaggio principale, una storia di formazione. Tra affanni, ristrettezze, speranze spesso deluse, con quel sogno della letteratura che però, alla fine, pur dopo molto patire, verrà realizzato. Robert Towne ha messo l’accento sia sull’amore sia sugli esordi letterari, inserendo con attenzione i suoi personaggi in una Los Angeles anni Trenta vista soprattutto in ambienti squallidi, piccoli alberghi, bar di periferia, e facendovi emergere, ad una ad una, tutte le difficoltà di quell’amore fra i due che è il filo rosso attorno al quale, tra alti e bassi, si snoda tutta la vicenda. Cedendo un po’, dati certi temi, a una letterarietà che rischia di sfiorare la retorica e, nel finale, dopo la morte di lei, a un sospetto male esorcizzato di patetismo. Con accenti, tuttavia, spesso coinvolgenti e commoventi. Grazie anche, ma forse soprattutto, alla presenza, nelle vesti di Arturo, di Colin Farrell, molto più convincente qui che non in Alexander e, in quelle di Camilla, della messicana Salma Hayek, già apprezzata come Frida Kahlo in Frida. |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
La prima cosa di
cui non ci si dovrebbe fidare trasformando un libro in un film sono le
parole. La pagina è la pagina, lo schermo è lo schermo, tutto ha un peso,
un senso e un ritmo diversi. La seconda cosa da evitare è l’interiorità:
una voce narrante funziona se nasce insieme al film, quando invece
riassume un romanzo in prima persona i rischi si impennano. Altra sirena
da evitare: l’alone di leggenda che luccica intorno allo scrittore e alla
sua vita, particolarmente insidioso nel caso dell’autobiografico John
Fante.
Purtroppo il
Chiedi alla polvere di Robert Towne, glorioso sceneggiatore
hollywoodiano (L’ultima corvée,
Chinatown,
Yakuza...), non schiva nessuna
di queste trappole, anzi sembra quasi volerci sprofondare con la voluttà
dell’innamorato accecato dalla passione. Da quando diventò amico di Fante,
nei suoi ultimi annidi vita, Towne voleva infatti adattare questo romanzo.
L’entusiasmo traspare nelle scene più riuscite, peraltro puramente
illustrative, ma gli prende la mano quando forza questa derisoria epopea
in prima persona in troppe direzioni contraddittorie. |
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TORRESINO
- maggio 2006