Il caso Winslow (The
Winslow Boy) |
da La Repubblica (Irene Bignardi)
È certamente curioso che il più americano, il più "verbale", il più contemporaneo dei commediografi-registi d'oltreoceano abbia deciso di mettere in cinema una pièce teatrale che più inglese non si può, firmata da Terence Rattigan nel 1944, già portata sullo schermo da Anthony Asquith nel 1948, tutta giocata su una questione d'onore squisitamente British. Eppure la scommessa è vinta, e The Winslow Boy è un film dalle molte qualità, tra cui una ricostruzione d'epoca accurata (seppur non maniacale come nella produzione Merchant-Ivory) e un copione avvincente come un giallo. Anche se, in questo caso, a essere in gioco è solo l'onore, quello del figlio tredicenne di una buona famiglia della borghesia londinese, accusato di aver rubato cinque pence a un compagno di Accademia Militare, da cui è stato quindi espulso senza ulteriori indagini. La pièce di Rattigan e il film raccontano una storia realmente avvenuta, quella del giovane George Archer-Shee. La sua famiglia per due anni, tra il 1908 e il 1910, si è battuta per dimostrare l'innocenza del ragazzino (che aveva detto al padre di essere innocente), portando il caso fino in parlamento, mentre la Gran Bretagna impazziva e si creavano partiti e fazioni. Mamet , evidentemente affascinato dal paradosso di un processo così clamoroso per cinque pence, e dal destino di una famiglia affidato alla parola di un ragazzino, costruisce un film che non potrebbe essere più fedele all'etica e all'estetica britannica, ma allo stesso tempo gioca con l'elemento che gli è più caro, la parola, la battuta, il wit, senza sentirsi obbligato ad "aprire" la struttura teatrale del testo verso l'esterno. E fa benissimo, perché di tensione ce n'è a sufficienza, nello sviluppo del caso Winslow, e i suoi attori da soli valgono lo spettacolo, a partire dal burbero Nigel Hawthorne, al fiero ragazzino che si batte per il suo onore (Guy Edwards), per finire con Rebecca Pidgeon, la sorella suffragetta, che, come il film, maschera benissimo il fatto di essere americana.