Con
questo film - il suo undicesimo lungometraggio - Paolo Virzì sembra voler
imprimere una svolta al suo modo di fare cinema, una svolta che allenta i
«legami» con la forma-commedia a favore di una più complessa struttura
narrativa e una più equilibrata lettura psicologica. A favorirlo è il
romanzo di Stephen Amidon il cui titolo resta invariato anche per il film,
Il capitale umano, e di cui rispetta la complessità temporale ma
non l'ambientazione (dal Connecticut alla Brianza) scrivendo la
sceneggiatura con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Non un passaggio al
dramma tout court ma un'evoluzione dal genere in cui si era esercitato
fino a ieri verso una narrazione più complessa e ambiziosa. Bisogna però
aggiungere, per evitare ambiguità, che Virzì non perde la sua capacità di
graffiare attraverso l'ironia - come dimostrano alcuni personaggi, su
tutti quello del critico teatrale Russomanno affidato a Luigi Lo Cascio -
e soprattutto affina la capacità di ottenere il meglio dai suoi attori,
come dimostra per esempio Fabrizio Gifuni che dà qui la sua prova
migliore, convincente e intensa, oppure trasformando i supposti limiti in
qualità, come fa con Valeria Bruni Tedeschi, davvero ammirevole (e non è
la prima volta che gli riesce con un'attrice. Come dimostra Nicoletta
Braschi in
Ovosodo
o Monica Bellucci in N - Io e Napoleone).
Per non parlare dei giovani, esordienti o quasi, tutti ottimi. Dove
convince meno è quando sottolinea le inflessioni lombarde - da baùscia
vanziniano, alla Nicheli - nel personaggio affidato a Fabrizio Bentivoglio:
il suo Dino Ossola, piccolo agente immobiliare convinto di poter fare il
colpo della vita grazie alla familiarità col finanziere Bernaschi (Gifuni),
si comporta - specie all'inizio del film - come fosse in una commedia
ridanciana, inanellando sbruffonate e ostentando urticanti familiarità.
Probabilmente al regista serviva per rimarcare ancora di più il cambio di
passo che si sarebbe consumato durante il film, dal sorriso al cinismo, ma
forse non ha tenuto conto di come un'eccessiva caratterizzazione regionale
rischiasse di scivolare verso la farsa. Gli exploit lombardi, comunque,
passano in secondo piano quando i vari personaggi del film iniziano a
essere coinvolti nella tela gialla che ha steso il caso (...). Tutta
questa materia, Virzì la racconta da tre punti di vista, così che gli
stessi fatti trovino spiegazioni e informazioni diverse. Ma più che la
soluzione del giallo (che pure arriverà alla fine) gli interessa la
descrizione di un mondo che, come dice la moglie di Bernaschi, «ha
scommesso sulla sconfitta dell'Italia. E ha vinto». Mai come in questo
film, lo scontro generazionale tra genitori e figli è così netto e deciso:
l'età non è un discrimine di bontà o cattiveria ma di responsabilità.
Soprattutto i padri (veri o «putativi», come quello di Luca) sono lo
specchio di un Paese che ha tradito qualsiasi ideale in nome del denaro e
le cui azioni finiscono inevitabilmente per far sentire le proprie
conseguenze sugli altri membri della famiglia: con un maggior grado di
corresponsabilità sulla moglie, con effetti più distruttivi sui figli.
Il
capitale umano
questo quadro lo racconta con forza e durezza, senza concedere facili
sconti a nessuno (...) e con un acre senso di beneaugurante moralità,
soprattutto dopo l'eccesso natalizio di commediole assolutorie e
pacificatrici. Qui alla fine tutti escono sconfitti, anche quelli che
sembrano convinti di aver vinto, lasciando allo spettatore il compito di
riflettere sui valori per cui vale davvero la pena di combattere.
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Fredda,
grigia, ostile. Popolata da squali della finanza, padri infantili e
competitivi oltre ogni ragionevolezza, signore ricche e annoiate, patetici
piccolo borghesi alla disperata ricerca di riscatto sociale, aristocratici
giovani rampolli mammoni e piagnucolosi, uomini d'affari dal soldo facile
che scommettono sul fallimento del nostro paese. Teatro di un incidente
che vedrà un ciclista schiacciato da un Suv, delitto che intreccerà i
destini di due famiglie posizionate su diversi gradini della scala
sociale, ma unite dal comune desiderio di fare soldi e dalla disattenzione
nei confronti dei propri figli. La Brianza di Paolo Virzì, grande
protagonista del suo ultimo film,
Il
capitale umano, (...)
potente, coraggioso apologo morale sul valore anche monetario della vita
umana, che apre al cinema italiano strade di respiro più ampio e
internazionale, non è piaciuta ad alcuni lombardi, gli amministratori di
Como e Monza, che hanno attaccato il regista livornese colpevole a loro
parere di mettere in scena solo stereotipi. Il paradosso sarebbe poi che
Virzì, il quale ha ottenuto il contributo di 700mila euro dal Ministero
dei Beni Culturali, avrebbe offerto un ingiusto adesco di 'una delle aree
che più contribuisce a finanziare i bilanci dello Stato, tra cui proprio
il Ministero dei Beni Culturali', come sostiene l'assessore leghista al
Turismo della Provincia di Monza e Brianza Andrea Monti. E pensare che
l'omonimo romanzo di Stephen Amidon da cui è tratto il film, interpretato
tra gli altri da Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio
Bentivoglio, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, è ambientato oltreoceano, in
Connecticut e il regista ha dichiarato di essersi avvicinato a un luogo
per lui sconosciuto come un esploratore farebbe in un posto esotico.
«Ho scelto di ambientare il film in Brianza - ha dichiarato Virzì -
perché mi sembra il territorio dove il riverbero dell'economia sulla vita
delle persone è più significativo».
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