Anna Karenina
Joe Wright
- Gran Bretagna 2013 - 2h 10'

 L'idea su cui si regge tutto il film di Joe Wright film precedente in archivio è che ormai quella di Anna Karenina non è più una «semplice» storia (per bella e appassionante che sia) ma piuttosto una specie di «copione» universale, di «canovaccio» all'interno del quale non agiscono dei personaggi ma piuttosto degli stati d'animo, dei sentimenti riconoscibili - l'Amore, il Tradimento, l'Onore, la Vendetta, la Colpa - e per questo eterni, dei «canoni» di comportamento talmente ben raccontati e definiti da poterli a propria volta mettere in scena. Come se non avessero più bisogno di essere calati dentro la carne e il sangue delle persone ma potessero vivere di vita propria. Come una volta le maschere dell'arte. Ecco allora che il luogo ideale per raccontare in questo modo 'Anna Karenina' non è più la «realtà» del cinema ma piuttosto la «finzione» del teatro. E infatti nella prima scena le immagini ci dicono che siamo seduti in platea, mentre il sipario di velluto si apre davanti a noi. E solo la magia della macchina da presa ogni tanto cancella le dimensioni del palcoscenico per aprire lo sguardo oltre quelle quinte e quei fondali, giocando come a rimpiattino tra illusione e realismo, tra artificio e verosimiglianza. (...) Si riconosce, in questo gioco di specchi e di rimandi, la mano dello sceneggiatore Tom Stoppard, che aveva già messo in pratica questi scambi tra realtà, fantasia e letteratura in Rosencrantz e Guilderstern sono morti e più recentemente nel fortunato Shakespeare in Love. Là come qui la verità letteraria lascia ogni tanto il campo alla più esibita delle finzioni, con cui sottolineare quella universalità simbolica di cui si diceva prima. E anche se il gioco metalinguistico talvolta segna il passo (rischiando di appesantire la rappresentazione della passione e soffocando l'efficacia del melò) alcune invenzioni sono decisamente azzeccate e affascinanti, a cominciare dal valzer in cui Karenina e Vronskij si confessano reciprocamente e tacitamente il proprio amore: un infinito carrello circolare che scatena la fisicità dei due (futuri) amanti in un gioco di mani, braccia, corpi e sguardi che non ha più niente delle regole del ballo e tutto dell'amplesso e della passione. Così come è piuttosto geniale l'utilizzo del gioco dello Scarabeo per permettere al timido Levin (Domhnall Gleeson) di dichiarare il suo amore per la virtuosa Kitty (Alicia Vikander). O ancora l'improvvisa profondità del palcoscenico che sottolinea la perdita del figlio da parte della fedifraga Anna…

Paolo Mereghetti - Corriere della Sera

  Cos'altro dunque può aggiungere, nel bene e nel male, alla vicenda cinematografica di questa eroina ottocentesca la versione di Joe Wright con la diafana Keira Knigthley? Eppure, siamo stati fin da subito conquistati dal dispositivo che il regista e lo sceneggiatore (Tom Stoppard, quello di Shakespeare in Love) hanno utilizzato per mettere in scena quest'archetipo letterario. Qualcuno vi dirà il «teatro», giacché la storia s'ambienta dichiaratamente negli spazi di un vecchio teatro, tra il palcoscenico, le quinte, la platea, l'attrezzeria, il foyer.... Ma non è solo questo, e soprattutto non si tratta di una versione teatrale del celebre romanzo. Joe Wright compie idealmente un'altra operazione: immagina che gli spiriti di questa storia d'amore immortale siano rimasti imprigionati per sempre tra i legni di un vecchio teatro, come se questa vicenda letteraria avesse ormai perso qualsiasi possibilità di una rivisitazione realista e fosse assurta a puro immaginario, fosse tornata ad essere l'essenza stessa di una messa in scena, di un racconto. Ecco, è attraverso l'esposizione dichiarata della macchina scenica, in un continuo entrare e uscire tra finzione e «realtà», ormai del tutto mistificata, che si compie ed esaurisce la storia tra Anna e il suo giovane milite, in una Russia sognata. Il film inizia dalla platea di un teatro, innanzi alla quale s'erge un sipario di velluto pesante che s'apre per magia con l'avanzare dello sguardo rivelando la scena e i suoi «attori», presi a vivere i loro personaggi. Non sono attori che recitano Anna Karenina, il marito senatore, l'ufficiale Vronsky... loro sono l'essenza stessa di quei personaggi; il teatro, adesso, non è più un luogo fisico, ma è uno spazio immaginario da cui si può evadere, e si evade, ogni qualvolta la scena lo imponga, portandoci sulla distesa immensa di un prato verde, testimone muto dell'amore adulterino, o sui binari di un treno, in una stazione giocattolo, tra modellismo e immensa scenografia. Ecco, quello che ci ha affascinato di questa rilettura è proprio l'invenzione della macchina scenica, l'essere riusciti a calare le pene d'amor ottocentesco in una macchina sognante che riesce ad evocare in un sol colpo le tante forme di rappresentazione, dal teatro delle marionette al circo, dalla lanterna magica al cinema, balzando dall'una all'altra con grandissima libertà, rintracciando nei più diversi generi (opera, operetta, melodramma, musical, teatro di parola...) il senso di una storia eterna. (...) Non si tratta, mai, di puro esercizio di stile, perché l'abbraccio tra la vicenda e la sua rappresentazione, tra l'essenza della prima e la forza della seconda, è avvincente.

Dario Zonta - L'Unità

  Vietati i rimpianti. E non perché quest' ultimi - legati alle numerose versioni cinematografiche di 'Anna Karenina' - siano infondati, ma proprio perché le gamme tradizionali di trasposizione sono state ampiamente esplorate già a partire dall'età del muto. Ai giorni nostri, vogliamo dire, un revival del capolavoro di Tolstoj può avere senso rielaborandosi come fa il film candidato a quattro Oscar del regista Wright e lo sceneggiatore Stoppard ovvero sarebbe destinato a scoprirsi inutile o manieristico. Può conquistare o meno l'emozione dello spettatore, insomma, ma l'effetto di straniamento che rispetta i costumi, le ambientazioni, l'intreccio, però sviluppandoli sul palcoscenico e dietro le quinte di un anticato teatro/set/circo, costituisce una buona soluzione dei problemi d'assuefazione e d'anacronismo; inoltre, la rilettura del romanzo operata dal duo very british mentre allontana (ferendo a morte i cinéfili) il melò estremo incarnato dall'algido fulgore della Garbo, corregge la più diffusa forzatura del testo. Quella, cioè, connessa alla natura della fedifraga Anna, che non è o non è solo una tragica, sacrale eroina vittima della «morale» della Russia zarista (e magari di sempre), bensì un'egocentrica, impulsiva e persino un po' isterica sfidante dell'ipocrisia, della claustrofobia e del decoro societari. Tali qualità s'adattano alla fisionomia e alla recitazione della Knightley, la cui Anna risulta credibile perché naturalmente moderna sia nella scandalosa e infelice passione per il biondo e riccioluto conte Vronsky, sia nello scontro che rifiuta i compromessi suggeritigli un po' da tutti con il gelido consorte senatore Karenin, sia nell'entrare e uscire dal 1874 indossando magnifici abiti, pellicce, accessori che puntano a sembrare sofisticatamente vintage. Rispetto agli altri adattamenti, il film concede più spazio al parallelo connubio tra l'alter ego Tolstoiano Levin e la virginale Kitty, il possidente umanitario e la donna-madre che materializzano, con un surplus metaforico tipico dello Stoppard di Shakespeare in Love, l'ideale pre-rivoluzionario di una nazione pacificata e solidale tra classi alte e classi basse. Nell'insieme il film scorre fluido su di una mappa pressoché coreografica (nel ricordo del Moulin Rouge di Luhrmann) perché, come abbiamo premesso, non costringe tutta la sua energia nella morsa dell'esibita finzione e, anzi, chiede spesso alla cinepresa d'infrangerla; come accade nella stupenda sequenza del valzer galeotto in cui l'immobilità innaturale degli astanti serve a fare percepire come Anna e Vronsky stanno in realtà facendo l'amore.

Valerio Caprara - Il Mattino

 

promo

Nella Russia zarista di fine diciannovesimo secolo, Anna Karenina (Keyra Knightley) è intrappolata in un matrimonio senza amore con l'ufficiale governativo Alexei Karenin (Jude Law), dal quale è nato anche un figlio. Conosciuto per caso il giovane tenutario Vronsky (Aaron Johnson), Anna si rende conto di provare per la prima volta l'ebbrezza del vero amore... Seguendo il destino di Anna che s’immola al tradimento, questa nuova versione del romanzo di Tolstoi ci regala una serie di invenzioni di cinema straordinarie, di grande coerenza fantastica. E il cast sta perfettamente al gioco, in continuo ricambio di emozioni e memorie con la Knightley all'altezza nel prendere il posto della Garbo e altre divine.

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 LUX - marzo/aprile 2013

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