La vita è un
romanzo, ripete Ozon come Resnais imboccando la strada del melodramma
vecchio stile con un'eleganza cinefila che lascia però aperta anche una
lettura emotiva da grande narrativa e grande pubblico. Alla base c'è un
romanzo della Taylor, non Liza, che parla di una fiammeggiante scrittrice
di provincia (ispirata alla vittoriana Maria Corelli) che nel primo '900
inglese ottiene soldi, fama e un pittore bohémien, in attesa che la guerra
la travolga. Sulla falsariga dei melò di Bette Davis, Ozon, sempre
complice di caratteri femminili anche mostruosi, racconta la storia come
una sinfonia, col piacere dell'esperto di passioni, scherza sulla natura
del successo. Lo fa con raffinatezza eccezionale (scene, costumi, arredi,
la musica che ricorda il Max Steiner di
Perdutamente tua) e dirigendo la brava
Romola Garai, che qui non arriva alla espiazione, il tempestoso Michael
Fassbender e la magica Lucy Russell, l'unica che è davvero capace di
amare. |
Pare
che persino Vanessa Redgrave, attrice sublime e certamente non incolta,
sentendo parlare dei libri di Elisabeth Taylor l'abbia scambiata per la
celebre diva esclamando: «Non sapevo che scrivesse». Un disguido
comprensibile visto che la Taylor di cui parliamo (1912-1975), assurta a
buona fama nel dopoguerra, è attualmente una scrittrice di nicchia.
Il fatto che il regista francese
François Ozon
, innamoratosi del romanzo
Angel (apparso nel 1957 e rieditato in Italia
da Neri Pozza), l'abbia portato sullo schermo potrebbe ora riabilitare una
firma ingiustamente dimenticata. Il film è un melò in costume girato senza
badare a spese in un impeccabile stile Hollywood Anni 40/50: protagonista
Angel, provinciale inglese povera e ambiziosa che agli inizi del '900,
riversando sulla pagina i suoi sogni di grandezza, diventa una scrittrice
di successo e si convince di vivere nell'illusorio mondo fabbricatosi su
misura finché un matrimonio infelice non ne spezza l'incantesimo.
Ispirato (così si dice) alla figura vera di Marie Corelli (1855-1924),
romanziera che pur dileggiata dalla critica annoverò fra i suoi estimatori
alcuni membri della famiglia reale, Angel è un personaggio tutto giocato
contro quegli allettanti stereotipi che permettono l'identificazione: non
è bella, è priva di maniere e istruzione e non ha neppure talento. La
Taylor ce la descrive come una pennivendola arrogante ed egoista,
un'anti-eroina sempre al limite dello sgradevole e del grottesco che non
possiamo amare. Tuttavia il ritratto è talmente ricco di sfumature da non
risultare solo impietoso: pagata a caro prezzo, l'ossessiva
immedesimazione di Angel nelle sue fantasiose romanticherie in qualche
modo la riscatta sia come artista che come essere umano.
Fedele alla storia, Ozon diverge dalla Taylor nel punto di vista: si
capisce che per lui il materiale del melò è sacro e attingendo a piene
mani dal cinema degli adorati Douglas Sirk, Vincent Minnelli, e George
Cukor non trascura nulla pur di ricrearne - fra sottolineature musicali,
colori smaltati, scenografie gotiche, costumi estrosi - le caratteristiche
atmosfere. Mentre la complessità del personaggio poggia sulle spalle della
straordinaria Romola Garai, che riesce nell'impresa impossibile di
risultare insieme insulsa e attraente, dura e fragile, spesso
insopportabile e alla fine commovente. |