da Film Tv (Emanuela Martini) |
"Ogni uomo é un'isola. E per di più questo é il momento giusto per esserlo", e parte la lista delle cose (satellite, dvd, internet, carta di credito...) che permettono a un single quarantenne, ben vestito e di bell'aspetto, che campa di rendita con i diritti dell'unica canzone di successo che suo padre scrisse negli anni' 50 (la sdolcinata natalizia "Santa's Super Sleigh", riecheggiante ogni anno all'approssimarsi delle feste), di vivere felice perfettamente solo, a parte le numerose, transitorie conquiste femminili, e soprattutto senza nessun coinvolgimento. Finché non arriva un ragazzino di 12 anni perfettamente estraneo e completamente infelice a esigere il suo aiuto. "E dire che non voglio neppure portarmi a letto sua madre!", sbottò Will, il protagonista di Un ragazzo, tratto dal romanzo di Nick Hornby. Il libro di Hornby é acuto, disincantato, capace di trasmettere quel senso di affettuosa complicità che, quasi per caso, lega tra loro le solitudini e le crisi diverse di alcuni umani sparsi e di varia età, rappresentativi delle monadi metropolitane. Come dice Marcus, il ragazzino che vive solo con una madre separata proto-hippie e spaesata ,«Due non é un buon numero». Ce ne vogliono di più per superare le crisi. E il film dei fratelli Weitz (sì, proprio quelli di American Pie) restituisce con buon mestiere ambienti, caratteri, manie, con un sottofondo talvolta percettibile di complessi edipici sommersi che mettono in comunicazione i personaggi. Costretti a tagliare, la riduzione più drastica é toccata ad Allie, l'amica dark di Marcus fanatica di Kurt Cobain, alla quale la seconda parte del libro riserva i momenti migliori. Ma questo film é soprattutto di Hugh Grant, che pare nato per la parte di Will, molto più adatto a questo single stropicciato e minimalista nel cuore che al libraio di Notting Hill. Circondato da un buon cast e dal fascino di una Londra riconoscibile ma non turistica, ci fa arrivare in fondo alla storia con il tempo della sua autoironica malinconia. |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Pare proprio che Nick Hornby porti bene al cinema. Dopo due piacevolissimi adattamenti di suoi romanzi ("Febbre a 90" e "Alta fedeltà"), anche il terzo, About a boy (dal libro "Un ragazzo", edizioni Guanda), è una commedia particolarmente riuscita, affettuosa ironica e fluida: forse un po’ esile e con dentro qualche ovvietà, ma beneficamente lieve, al contrario di una quantità di film odierni che, al ritmo di una gag per minuto, sanno sempre più di costruito a tavolino. Will vive a Londra senza problemi né di danaro né di donne. I soldi sono merito di papà, che ha scritto una canzonetta natalizia brutta ma assai redditizia in diritti d’autore; quanto alle seconde, il maturo giovanotto è un playboy, che passa da una femmina all’altra senza mai assumersi impegni sentimentali. L’ennesima strategia del ganimede, però, si rivela una trappola. Entrato in un gruppo di single con figli per acchiappare nuove sottane, Will fa la conoscenza di Marcus. Ignorando il suo interesse per un’amica di mamma, il ragazzino cerca di accasarlo con la genitrice, una ex-fricchettona di nome Fiona, depressa cronica e aspirante suicida che passa metà del tempo a piangere, l’altra metà a opprimere il povero rampollo. In realtà è Marcus, timido e preso di mira dai coetanei per i vestiti fuori moda che la madre lo costringe a indossare, ad avere bisogno di qualcuno: come in ogni storia di strana-coppia, tra lui e il refrattario single nasce una grande amicizia. Il tutto transita per i riti di passaggio tipici di Hornby, come le piccole complicità maschili e la condivisione della musica (un duetto tra l’uomo e il bambino). Alla fine, però, gli abbinamenti sentimentali non saranno necessariamente quelli più prevedibili. Ancor più imprevedibile era il fatto che i fratelli Chris e Paul Weitz - circonfusi dalla fama goliardica e triviale di American Pie - potessero adattare per lo schermo una commedia sentimentale gentile e per nulla volgare, col valore aggiunto di qualche trovata folgorante. La collaborazione produttiva anglo (Hugh Grant, Hornby, l’ambientazione londinese) americana (i registi, la produzione newyorkese Tribeca, la casa di Bob De Niro) funziona a dovere. Se la parte va a pennello a Grant, che ha voluto a tutti i costi il film, il piccolo Nicholas Hoult ha la faccia di un ragazzino autentico e il "supporting cast" è dei più godibili. . |
V.O.S. LUX: novembre-dicembre 2002