da La Repubblica (Irene Bignardi) |
Notting Hill, la commedia romantica di Roger Michell che ha riportato Hugh Grant al perdono delle folle cinematografiche e ha fatto lievitare i prezzi degli affitti del quartiere londinese attorno a Portobello Road, appartiene, assieme, alla famiglia dei film sulle apparentemente insuperabili differenze di status - da Vacanze romane al Principe e la ballerina a Pretty Woman - e a un genere non codificato, che chiameremo del "desiderio" o dei "sogni proibiti". Perché appartiene al mondo dei sogni condivisibili da tutti che una superstar in cerca di un momento di pace s'infili senza scorta e senza paparazzi in una libreria di quartiere e che il proprietario di quella libreria - l'uomo qualunque in cui tutti ci possiamo identificare, uomini e donne - sia proprio carino come noi vorremmo essere (e come in fondo pensiamo di essere), che il banale incidente di un succo di frutta galeotto rovesciato sull'elegante e minimalista tenutina della bella signora crei l'occasione ("come mi spiace, venga a ripulirsi a casa mia") per un attimo via dalla pazza folla di Portobello e di Ladbroke Grove e quindi metta le basi per quello che ora si chiama "feeling" (e un tempo attrazione). Squadra che vince non si cambia e la squadra di scrittore e produttore costituita da Richard Curtis e Duncan Kenworth, all'origine del successo di Quattro matrimoni e un funerale, ripropone Londra, gli amori che sembrano difficili, il ritegno e l'indolenza della middle class britannica, il gioco dei contrasti e delle coincidenze tra America e Inghilterra, con una versione aggiornata e in rosa dei temi di Henry James (citato dal nostro libraio innamorato). L'innocente americana all'estero - questa volta però tra altri innocenti - è la superstar Anna Scott, a Londra per presentare il suo ultimo film, così simile nei suoi comportamenti a quel poco che la stampa sa e vede di Julia Roberts da creare un imbarazzante cortocircuito d'identità fra l'attrice e il personaggio: bella, sorridente, riservata, appena misteriosa. Lui, che se la vede piovere nella pigrizia un po' cialtrona della sua vita e della sua libreria, è Hugh Grant, che non ha mai smesso, dai tempi di Quattro matrimoni, di fare le stesse smorfiette da bel ragazzo troppo corteggiato. Che ci faccia la superstar Anna a spasso per Notting Hill, così lontana dal lussuoso hotel del West End dov'è ospitata, è un'altra questione. Poco importa. Il sogno è carino, patinato, spiritoso: la diva s'innamora, lui pure, gli amici - un gruppo che piacerebbe alla Brétecher dei Frustrati - restano a bocca aperta, la commedia degli equivoci è divertente (ogni giornalista di cinema si ritroverà con imbarazzo nella scena delle interviste a catena), i paparazzi fanno le loro paparazzate, il fidanzato americano di lei (William Baldwin), che ha la cattiva idea di fare un'improvvisata e scambia Hugh Grant per un cameriere, è giustamente arrogante - e su tutto aleggia uno humour gentile e controllato. Non c'è nulla che resti, nulla che graffi, nulla che turbi o disturbi - come capitava nelle omologhe commedie quasi rosa di un tempo. E c'è perfino un lieto fine in stile fiabesco: non tanto per l'ambiente - un incantato parco londinese - ma perché in quel parco ci sono Lui e Lei felicemente (e provvisoriamente per sempre) insieme... |
da Film Tv (Emanuela Martini) |
La bellezza abbagliante della campagna inglese, un bambino su una mongolfiera rossa che un vecchio da terra non riesce più a controllare, quattro uomini che corrono in suo soccorso, si appendono alle corde, si sollevano, oscillano, finché un colpo di vento più forte degli altri li fa innalzare ancora di più, li costringe a mollare. Tutti tranne uno, che finirà col precipitare. Cambia così la vita di tutti i personaggi coinvolti nell'incidente, in quello che è stato definito uno degli incipit più affascinanti della letteratura contemporanea, un momento di immediata, potente evocazione visiva. L'amore fatale di Ian McEwan è un romanzo sinuoso, oscuro e romanticamente disperato, del quale il regista Roger Micheli riesce solo in parte a trasferire sullo schermo le suggestioni. Fin dalla sequenza iniziale, nata per il cinema, che è bella, ma non riesce a conservare l'impatto sconvolgente della pagina scritta. Costretto all'inevitabile semplificazione del flusso interiore ossessionante su cui si costruiscono le dinamiche e gli interrogativi del romanzo, il film finisce per colorarsi di thriller e per annacquare invece la lacerante predestinazione melodrammatica del suo triangolo amoroso. E questo nonostante la bravura degli interpreti, soprattutto Rhy Ifans, stralunato e persino tenero nei panni del persecutore sentimentale. |
CinemaEstate in VILLA
CONTARINI - Piazzola sul Brenta
(PD) agosto 2000