A Est di Bucarest (A Fost Sau N-a Fost?)
Corneliu Porumboiu - Romania 2006 - 1h 29'

Camera d'Or - Festival di CANNES 2006


sito ufficiale

da Il Messaggero (Fabio Ferzetti)

        Arriva dalla Romania uno dei primi grandi film della stagione, un gioiello di umorismo e malinconia che rievoca “dal basso” la gloriosa Rivoluzione del 22 dicembre 1989. Ammesso che una Rivoluzione ci sia stata davvero perché laggiù a Vaslui, piccola città vicino Bucarest, non ne sono così sicuri. E poiché il 22 dicembre si avvicina, l’intraprendente conduttore di una scalcinata tv invita in studio due improbabili “eroi” locali.
Questo però accade solo nella seconda parte del film, la prima invece ci porta dentro le vite comiche ma non allegre dei nostri protagonisti, intrappolati con sapienza in una serie di inquadrature fisse che spremono da quelle piccole esistenze grandi verità e un divertimento spesso irresistibile ma anche venato da una disperazione che non diventa mai tragica solo perché, come dice il regista pensando forse più ai suoi concittadini che a Ionesco, «noi rumeni abbiamo inventato l’assurdo».
Sono queste immagini fisse ma traboccanti di vita a dare all’esordio di Porumboiu il suo sapore così speciale, in cui si mescolano stupore e amarezza, rassegnazione e speranza. Ma è la bravura strepitosa degli attori, interpreti teatrali poco noti anche in Romania, a rendere memorabili i personaggi, i loro sentimenti inespressi e con essi il film, che invece quei sentimenti li esprime benissimo.
Il signor Piscoci è un vecchio brontolone perseguitato dai bambini del quartiere, ma pronto a travestirsi da Babbo Natale se glielo si chiede con gentilezza. Il professor Manescu è un tipetto spento che di giorno tenta di ficcare qualche nozione nella zucca dei suoi liceali attempati, e di notte si ubriaca fino a perdere la memoria e a insultare a sangue un onesto bottegaio cinese che si rivelerà l’ago della bilancia.
Naturalmente il cuore del film è la lunga scena del talk show, chiamiamolo così (con telefonate in diretta e controscene irresistibili in puro stile Totò), che stabilisce anche la morale della favola. Perché non esiste la Storia, esistono solo tante storie, nessuno saprà mai se Manescu passò quel fatidico 22 dicembre a sbronzarsi o scese in piazza contro Ceausescu, così come non si saprà mai come funzionano i lampioni della città (è il senso del bellissimo e imprevisto finale). Ma l’essenziale è che qualcuno continui a chiederselo, e tanto meglio se è giovane come quel cameraman che della Rivoluzione ha un ricordo tutto diverso, ma un giorno, chissà, farà il regista e sarà lui a raccontare la Storia. O uno dei suoi volti.

 

promo

È il 22 dicembre. Sono trascorsi sedici anni dagli sconvolgimenti del 1989 e si sta avvicinando il Natale. Pisconi, un anziano pensionato, si è ritirato a vita privata e si sta preparando a trascorrere ancora una volta le festività tutto da solo. Manescu è un professore di storia scontento di dover dilapidare tutto il suo stipendio mensile per pagare i suoi numerosi debiti. Neppure Jderescu, il proprietario della televisione locale, è interessato al Natale. Quello che desidera, con l'aiuto di Pisconi e Manescu, è trovare la risposta a una domanda che lo assilla da sedici anni: c'è stata veramente una rivoluzione nella loro città?
Protagonisti intrappolati con sapienza in una serie di inquadrature fisse che spremono da quelle piccole esistenze grandi verità, un divertimento spesso irresistibile ma anche venato da una disperazione che non diventa mai tragedia: come dice il regista (pensando forse più ai suoi concittadini che a Ionesco) «noi rumeni abbiamo inventato l’assurdo». Camera d'Oro al festival di Cannes.


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