giugno 2011

quadimestrale di cinema, cultura e altro... ©

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

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CINEMA E RISORGIMENTO

Cristina Menegolli

Il maggiore interesse per la rievocazione storica del Risorgimento si riscontra nel periodo delle origini. Il cinema, che nasce come “finestra sul mondo”, ha cominciato a raccontare e documentare vicende legate al Risorgimento fin dai suoi albori, quando, non a caso, erano ancora vive persone che avevano vissuto la nascita dello Stato unitario, quando cioè la materia era ancora viva e incandescente.
La presa di Roma di Filoteo Albertini, film di impostazione fortemente anticlericale, venne girato nel 1905 e presentato proprio a Porta Pia in occasione dei 35 anni di Roma Capitale, le sue immagini dei bersaglieri che varcano la breccia sono ancora oggi usate come materiale di repertorio per rievocare l’evento. In quegli anni anche a teatro riscuotevano molto successo drammi storici, come Carlo Alberto, Giovane Italia, Il tessitore, il che contribuì allo sviluppo del filone storico anche al cinema, ad esempio con la trilogia garibaldina (Garibaldi, Anita e I Mille di Mario Caserini, il più prolifico regista del Risorgimento ai tempi del muto).
All’affermazione del genere contribuì negli anni successivi, oltre al favore del pubblico, l’aggancio alla propaganda interventista e al clima antiaustriaco, che porteranno l’Italia a schierarsi al fianco di Francia e Gran Bretagna nella prima guerra mondiale. Film come O Roma o morte, I Carbonari, Silvio Pellico, Il martire dello Spielberg e Brescia, leonessa d’Italia puntavano a colpire direttamente l’immaginario collettivo attraverso l’esaltazione dell’eroismo, in funzione antiaustriaca, come del resto facevano romanzi come Romanticismo di Gerolamo Rovetta e Il dottor Antonio di Giovanni Ruffini, che troveranno anche la trasposizione cinematografica, il primo diretto da Clemente Fracassi con Amedeo Nazzari e il secondo da Enrico Guazzoni.
Anche negli anni Venti, nonostante la crisi economica di cui anche il cinema italiano risentiva, numerose furono le pellicole sul Risorgimento: La cavalcata ardente di Carmine Gallone (1915), I martiri d’Italia di Domenico Gaido, Anita di Aldo De Benedetti.
Il Fascismo, abbandonata la connotazione rivoluzionaria e anticlericale e presentandosi come depositario dell’amor patrio, adottò il Risorgimento come collante di una pacificazione interna, con l’avvallo del filosofo Giovanni Gentile e dello storico Gioacchino Volpe. Dopo il 1934, quando furono inaugurati i nuovi studi della Cines attrezzati per il sonoro e venne emanata una legge sugli aiuti statali alla cinematografia, fiorì una fitta produzione di opere sul tema, alla cui testa si pone 1860 di Alessandro Blasetti, che, non nascondendo la sua adesione al fascismo, si proponeva di evidenziare la continuità tra gli ideali risorgimentali e la “rivoluzione” fascista, creando un parallelo tra le gesta di Garibaldi e quelle di Mussolini ( le camicie rosse nel bianco/nero erano nere!). Nonostante l’intento celebrativo il film presenta però anche un aspetto interessante nella rilettura del momento storico dal punto di vista della gente comune.
Altra componente presente in questa fase è quella della nostalgia. Un garibaldino al convento (1942) di Vittorio De Sica opera una sorta di sdrammatizzazione del contesto risorgimentale, e Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati pone l’accento, anche se in secondo piano rispetto alle vicende dei due protagonisti, sulle delusioni seguite alla conquistata unità, rispetto agli ideali più progressisti. A questa fase appartengono anche Giacomo l’idealista di Alberto Lattuada, Teresa Confalonieri di Guido Brignone, Mater dolorosa di Giacomo Gentilomo.
Due film del 1952 La pattuglia sperduta di Piero Nelli e Il brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi segnano una svolta, l’uno, abbandonando il motivo apologetico, celebrativo in favore del dramma psicologico e individuale (racconta la storia di un povero soldato abbandonato e sperduto sul campo di battaglia di Novara) e l’altro, affrontando un aspetto fino allora trascurato e poco conosciuto, quello del brigantaggio, diffusosi subito dopo l’unità nazionale.

Una visione antieroica del Risorgimento, di stampo gramsciano inizia con Senso (1954) e Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti e con Viva l’Italia e Vanina Vanini, entrambi del 1961 di Roberto Rossellini. Visconti, facendo propria l’interpretazione gramsciana secondo la quale il Risorgimento è stato una “rivoluzione senza rivoluzione”, perché guidata esclusivamente dalle forze borghesi moderate senza l’appoggio delle classi popolari, si discosta da una rappresentazione eroica e mitica. Rossellini inaugura il suo periodo artistico dedicato alla narrazione della Storia secondo una prospettiva didattica con Viva l’Italia, che dell’epopea garibaldina offre una lettura demitizzata, che dovrebbe restituire una dimensione eroica ma umana al personaggio di Garibaldi (interpretato da Renzo Ricci). Alla sceneggiatura del film contribuirono cattolici come Diego Fabbri e Antonio Petrucci e comunisti come Antonello Trombadori e Sergio Amidei, per cui venne definito film del “compromesso storico”.

Dagli anni Sessanta-Settanta prevale la tendenza a demitizzare il momento storico, ponendo l’accento sui suoi lati oscuri, sui suoi oppositori, sulle attese deluse e le speranze tradite. In Li chiamarono briganti! di Pasquale Squitieri (e poi anche in O’ Re di Luigi Magni, 1989) si racconta, come nel film di Germi, il fenomeno del brigantaggio, visto quale autentica guerra civile che rappresentò la “resistenza” borbonica; Quanto è bello lu murire acciso (1976) di Ennio Lorenzini dà alla fallita spedizione di Pisacane una lettura in chiave politica di condanna degli astratti furori rivoluzionari, Bronte (1972) di Florestano Vancini ricostruisce una pagina oscura del Risorgimento: la dura repressione attuata da Nino Bixio nei confronti di un’insurrezione popolare nel Catanese poco prima dell’arrivo di Garibaldi. Nell’anno del Signore (1969) In nome del Papa Re (1977) e In nome del popolo sovrano (1990) di Luigi Magni unendo la ricostruzione storica ai toni della commedia, offrono una rappresentazione sarcastica delle vicende legate alla Roma dei Papi.  Sempre negli anni Settanta vengono prodotti Le cinque giornate (1973) di Dario Argento e Allonsanfan (1974) di Paolo e Vittorio Taviani. Il primo rilegge in senso antieroico una delle pagine più famose del Risorgimento, adottando il punto di vista della gente comune, il secondo focalizza l’attenzione sugli anni della crisi: l’epoca della restaurazione, della Massoneria, dei difficili rapporti tra l’avanguardia rivoluzionaria e le masse contadine.
Dagli anni Ottanta in poi sul Risorgimento sembra essere calato il silenzio, a parte un film d’animazione L’eroe dei due mondi commissionato a Guido Manuli da Istituto Luce e RAI 2, che ricostruisce in chiave propedeutica e didattica le fasi della vita di Garibaldi, che era stato scelto come modello ideologico e comportamentale da imitare dall’allora al governo Partito Socialista di Craxi.
L’unico a ritornare sul tema nel 2007 è stato Roberto Faenza con la sua trasposizione cinematografica del romanzo I vicerè di Federico De Roberto, che offre un affresco della nobiltà siciliana nel difficoltoso passaggio dal regime borbonico alla nuova realtà sociopolitica dell’Italia unita. Infine una ricostruzione storica il più rigorosa possibile, lontana da strumentalizzazioni celebrative e da revisionismi di ogni tipo, ma con un occhio attento ai legami col presente, ce la offre Mario Martone con
Noi credevamo (2010), ispirato al romanzo omonimo di Anna Banti, film nel quale, attraverso le storie di tre giovani, che vivono in modo diverso le vicende risorgimentali, l’autore racconta i drammi e i sacrifici costati a molte persone per il difficile processo di riunificazione dell’Italia, “non escludendo – per usare le sue parole – le storture, le radici anche “malate” da cui poi è cresciuta una pianta formidabile ma con tanti problemi come il nostro Paese.”
Se dunque i film che raccontano la nascita dell’unità d’Italia non sono così numerosi e molto spesso narrano la storia su misura dei Savoia prima e poi del fascismo e poi ancora dell’Italia nata dalla Resistenza, con una retorica centrata solo su un pezzo delle nostre vicende, tuttavia da essi emergono una serie di dati inconfutabili, che ci parlano del sacrificio di molti giovani, che credevano veramente negli ideali di unificazione per cui lottavano, della solidarietà, e anche delle differenze che attraversavano il Paese, così come ci parlano delle difficoltà, degli errori, delle pagine che meno ci onorano, dei problemi ancora irrisolti. Il cinema è fatto di luci e di ombre, così come la nostra storia è fatta di luci e di ombre, di uomini diversi e di Italie diverse, ma, per usare le parole di un teorico dell’unità Antonio Rosmini: “L’unità nella varietà è la definizione della bellezza”.