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(speciale, numero triplo!) |
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n° 11 |
www.movieconnection.it/magazine |
Pesaro |
Locarno |
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È
stato Bruno Torri (co-fondatore del festival nel 1965, con Lino Micciché)
ad aprire i lavori della
TAVOLA ROTONDA
che ha celebrato le prime quaranta edizioni della
Mostra
del Nuovo Cinema di Pesaro.
“Questa Mostra – ha affermato – è nata con l’intento preciso di
cercare il nuovo cinema, quello di sperimentazione, di ricerca, che
affrontasse nuove aree contenutistiche o fosse in grado di coniugare
valore estetico ed impegno sociale”. Il direttore in carica, Giovanni
Spagnoletti e quelli delle precedenti edizioni Adriano Aprà e Andrea
Martini (era assente, per ovvi motivi “veneziani” solo Marco Müller), i
cineasti Lucien Pintilie, Gianni Amelio, Vittorio Taviani, Paolo Brunatto,
Francesco Maselli, Vito Zagarrio (che, quest’anno, curava la retrospettiva
dedicata ai fratelli Taviani), lo sceneggiatore Stefano Rulli, il critico
Giorgio Tinazzi, l’editor della Marsilio edizioni, Gianni de Michelis, il
sindaco di Pesaro, tutti non hanno potuto non essere presenti per
ripercorrere tante tappe “fondamentali” nel panorama dei Festival
italiani.
Nel programma,
tra film ed eventi, grandi e piccoli, meritano una segnalazione la
retrospettiva completa di
ARNAUD
DESPLECHIN ()
e il video
Danilo Dolci, memoria e utopia,
del giovane siciliano Alberto Castiglione, esordiente lo scorso anno a
Venezia col mediometraggio Picciridda. Qui rievoca la figura di
Dolci, sociologo triestino morto nel 1997, concentrandosi su vent’anni
della sua attività siciliana (1952- 1972) dedita al riscatto culturale,
sociale e morale dell’isola e dei suoi abitanti. Tra interviste, immagini
di repertorio, testimonianze eccellenti, emerge la figura a tutto tondo di
questo uomo dal carattere non certo facile, ma di grande correttezza, che
seppe tenersi lontano dai giochi politici, ma che lasciò un segno incisivo
(lo definirono il “sovversivo mite”). E particolarmente vitale appare, dal
contesto documentaristico, il suo rapporto interattivo con i giovani che,
nel 1970, lo portò a fondare una radio libera ed a collaborare spesso con
Peppino Impastato, il protagonista de
I cento
passi. |
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È grazie alla
sapiente mano di Marco Muller (ora al timone della mostra di Venezia) se
quello di
Locarno
è diventato, nei dieci anni in cui è stato direttore (1991-2000), uno dei
principali festival del cinema assieme a Cannes, Venezia e Berlino. Da tre
anni, il curatore artistico è Irene Bignardi e per questa 57ª edizione
lo spirito non è stato tradito: sguardi lontani dalle megaproduzioni
americane e, inutile a dirsi, sconosciuti e invisibili, ma anche di
ricerca, d’attualità e d’autore. Una fitta programmazione divisa in dieci
sezioni (e in più la Retrospettiva e la Settimana della Critica),
con un occhio di riguardo per quel formato, il video, spesso troppo
trascurato e fonte inestinguibile di pregevoli novità, mezzo unico e,
ormai prediletto, per quegli sconfinamenti di genere che spesso la
pellicola non permette. Di fatto, lo spazio concesso al video e al
documentario, è un’efficace soluzione che permette a
Locarno
di non venire schiacciato dall’egemonia di Cannes e Venezia. All’interno della sezione HUMAN RIGHT PROGRAM è stato presentato Notre Musique, l’ultima fatica di Jean-Luc Godard. Un lavoro teorico al limite del documentario dove le immagini e la musica, ancora prima delle parole, raccontano, scuotono, minano il nostro sguardo in un complesso circolo di violenza dell’uomo sull’uomo. Una riflessione sull’opera stessa nel suo prodursi, sulla deriva del presente, con dialoghi ridotti per lo più ad aforismi o citazioni, da Montesquieu a Euripide. Il prologo è disarmante: flash di luce, immagini di guerra, di vecchi film, di reportage, montate in un crescendo frenetico accompagnato da un piano palpitante. La sensazione è di un’imminente esplosione, che non avverrà…
A chiusura una
considerazione “logistica”. La cornice di Locarno è molto allettante
esteticamente e le visioni in piazza grande sono uniche nel genere.
Peccato per il costante maltempo del quale il festival è vittima ogni
anno. Per chi non ama godersi i film sotto la pioggia munito di mantelline
trasparenti (in vendita ormai dovunque) rimangono le sale fuori dal
centro: palestre e auditorium di un complesso di istituti e licei, adibiti
allo scopo con sedie in plastica. Tutto sommato non molto confortevole. In
più l’italiano, nonostante sia la lingua ufficiale, non viene preso in
considerazione nei sottotitoli e per chi non ha
dimestichezza con le lingue… Certo,
raramente capita di trovare una città completamente dedita alla
venerazione di un simbolo – il leopardo – che in ogni angolo (farmacie
comprese…) mostra la sua zampa e il suo manto maculato. Una passione
davvero invidiabile alla quale è difficile non affezionarsi almeno un po’. |
vincitore Mur di Simone Bitton |
vincitore Private di Saverio Costanzo |