Anniversari,
eventi, trasposizioni:
i lunedì del
LUX
trovano continue occasioni per sollecitare (speriamo) il pubblico d’essai.
Nella stagione 89-90 usciva in anteprima sul nostro schermo
Camille
Claudel
con Isabelle Adjani e Gerard Depardieu; chi se ne ricorda? E chi si è
appuntato che proprio quest’anno ricorrono i 60 anni della morte della
affascinante scultrice francese amica di Auguste Rodin? La nostra breve
rassegna conclusiva prima dell’estate apre quindi con la riproposta
dell’intenso film di Bruno Nuytten, a cui fa seguito uno dei film “minori”
più notevoli di questo finale di stagione:
I
lunedì al sole
(nomination come miglior film straniero) è tra quei titoli che, nel
meccanismo incalzante delle prime visioni, davvero ci è dispiaciuto non
riuscire a mettere in cartellone. Questo recupero è doveroso!
Ultime serate dedicate al
fenomeno Ammaniti:
lo scrittore romano sta diventando uno degli autori italiani più
“trascrivibili” al cinema. Da Branchie (romanzo d’esordio del ‘94)
a L’ultimo capodanno dell’umanità
(1997) al recente Io non ho paura (2001). Ma non tutto ciò che è
(ben) scritto merita di essere rivisto al cinema: L’ultimo capodanno,
anche per divergenze regista-produzione-distribuzione, fu penalizzato
all’uscita (1998) più di quanto meritassero alcuni difetti di “accumulo”
nella regia di Marco Risi.
Branchie,
diretto nel 1999 da Francesco Ranieri Martinotti, (e interpretato da
Gianluca Grigniani) ha clamorosamente toppato tra caustici giudizi di
critica (“futilità desolante”, “cadendo spesso nel ridicolo di una
messa in scena confusa e balbettante”) e un impietoso rifiuto del
pubblico. Il primo meritava una riproposta, il secondo ve lo abbiamo
risparmiato… Così per inquadrare il fenomeno letterario non siamo andati
oltre il dittico:
-
se
L’ultimo capodanno
“è una scommessa interessante… tra commedia all'italiana e orrore pulp”,
-
Io non ho paura
ha la forza dirompente di un dramma “solare” in cui le immagini su
pellicola compenetrano la tensione emotiva di una narrazione in bilico tra
l’innocenza (perduta) dell’infanzia e l’incombente barbarie di un mondo
adulto da rifondare. Un’opera che ribadisce la qualità di scrittura di
Niccolò Ammaniti e dà a Salvatores un imprinting autoriale che va ben
oltre i riconoscimenti dell’oscar e di tanti altri confortanti risultati
al botteghino. Della serie: anche un buon soggetto può perdersi
nell’impaccio di una messa in scena non adeguata; un valido regista ha pur
sempre bisogno di un vero script su cui lavorare. Banale, ma una volta di
più verificabile!
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