L'ultimo capodanno |
da L'Unita (Michele Anselmi) |
Sulle macerie fumanti, tra elettrodomestici sventrati, brandelli di carne e attonite facce post-atomiche, si distende lieve la vecchia canzone di Procol Harum A Salty Dog. Bella idea chiudere così un film convulso e frastornante che vorrebbe non prendersi sul serio, ma che pure, sottopelle, aspira alla Grande Metafora. A tre' nni da quel Branco accolto da polemiche e insofferenze, Marco Risi torna sugli schermi con un film a fortissime tinte in bilico tra commedia all'italiana e orrore pulp. Definizione forse banale ma per una volta non incongrua: se non altro perché lo spunto è stato offerto dall'ormai famoso racconto di Niccolò Ammaniti L'ultimo capodanno dell'umanità, pubblicato nella raccolta Fango. E, del resto, il giovane scrittore ha volentieri collaborato alla sceneggiatura, eliminando qualche presenza minore (l'arpista francese, ad esempio) e introducendo in sottofinale una serie di allucinazioni (il fantasma dell'architetto norvegese con figlia morta) un po' in stile Lars Von Trier. Chi ha letto il racconto, sa che sono almeno una ventina i personaggi che Ammaniti segue quasi minuto per minuto, dalle 19.00 del 31 dicembre alle 3.20 del primo gennaio, con una coda mattutina tra le rovine di quello che fu il complesso residenziale «Le isole», al numero 1043 di via Cassia. (...) E' un'Italia pacchiana e stolida, vorace e feroce, ignorante e incattivita quella che anima «le Isole»: avviata, appunto, verso l'ultimo capodanno dell'umanità. Nel prendere in mano la colorita materia, Marco Risi impagina un film che parte come una commedia stravagante e si trasforma via, via in un incubo a occhi aperti, tra corpi sfiancati dalla diarrea trafitti da fiocine, mani tagliate di netto che finiscono tra le lenticchie, bave alla bocca e bambini schiacciati da televisori caduti dall'alto. Fino alla catarsi, che si consuma - complici alcuni candelotti di dinamite- nell'antro sotterraneo dove pulsa la maledetta caldaia vivente. Non va certo sul leggero L'ultimo capodanno. E può darsi che il tono grottesco, al sangue, disturbi qualche anima bella. Ma non è quello il difetto di un film che sin dall'incipit si propone eccessivo e minaccioso, anche nelle sottolineature comiche. Semmai funziona meno il passaggio dalla dimensione, diciamo, realistica a quella allegorico-pulp: nell'incombere dell'Apocalisse, mentre il sonoro pompa rumori allarmanti e il clima ebbro della festa scatena i peggiori istinti, L'ultimo capodanno si perde per strada qualche personaggio e scivola sul piano inclinato della farsaccia (tra l'altro la battaglia tra borghesi e proletari sembra uscire di peso da "Strane storie" di Baldoni). Ben fotografato da Maurizio Calvesi e ingegnosamente scenografato da Luciano Ricceri, il film è comunque una scommessa interessante: perché pensa «in grande», rispecchia un approccio non divistico nella composizione del cast e suggerisce qualcosa di pertinente sul ridicolo diffuso nel quale viviamo un po' tutti noi. Formichine ubriache sull'orlo di un cratere. |
da La Repubblica (Callisto Cosulich) |
(...) Non è un film a episodi mimetizzato da un pretestuoso tessuto connettivo, ma una commedia corale che, sin dal prologo motoristico,in esterni su un raccordo anulare, è connotata nella chiave di un grottesco esasperato che, grazie anche all'accelerazione del ritmo e degli accadimenti, sfocia in una farsa catastrofica e apocalittica. Ha qualche ragione Risi a suggerire che il suo sia un film «inusuale» nell'attuale panorama del cinema italiano. Si potrebbe tutt'al più accostarlo, specialmente per la parte finale e senza i suoi sconfinamenti nel surreale, all'ultimo episodio di «Strane storie» di Sandro Baldoni. E aggiungere che, nella pirotecnica bizzarria impressa all'azione col piede fermo sull'acceleratore dell'eccesso, gli autori hanno tenuto d'occhio una certa buffoneria demenziale, in altalena tra, il macabro e il trash, da molto tempo praticata nel cinema nordamericano, dentro e fuori Hollyvood. A differenza che nel comico, nel grottesco, cioè nella tendenza espressionista a deformare la rappresentazione naturalistica della realtà, c'è quasi sempre un'intenzione morale di critica, denuncia, indignazione. Dopo essersi divertito, lo spettatore può dedurne che L'ultimo capodanno sia un apologo su una certa società borghese destinata a esplodere, ma non siano d'accordo. Ci è sembrato che qui il grottesco sia fine a se stesso, ma non sappiamo decidere se sia un fattore negativo o positivo. In questa commedia sotto il segno della ridondanza «cannibalesca» Risi perde più di una volta il controllo della materia. E da sempre un regista bravo nel mettere più che nel togliere, ma qui talvolta esagera come, per esempio, nell'iniziale crisi isterica della Bellucci, e qui i noti limiti dell'attrice non c'entrano. Preferiamo, però, mettere l'accento sul versante positivo del film, sulle invenzioni di regia, come quando sposta l'azione nell'ambiente sotterraneo della gigantesca caldaia, il trapasso dal realismo al surrealismo è impercettibile, ma proprio perciò funziona. D'altronde fa parte di quel che è forse l'episodio più originale del film, quello di casa Carucci: il duetto Ossadipesce/Cristiano (Max Mazzotta, Claudio Santamaria) è formidabile. Girato quasi per intero in studio, «L'ultimo capodanno» si avvale assai di effetti speciali tecnici, visuali e persino digitali. Possiamo sbagliarci, ma è la prima volta che succede in una commedia italiana. A livello professionistico almeno, ci sembra un buon segno. Sta crescendo il cinema italiano? |