Camille Claudel |
e.l. pieghevole LUX marzo-aprile 1990 |
Cinque
Cesàr, un
Orso d'oro a Berlino, due
candidature all'oscar
(miglior film straniero e migliore interprete femminile)...
Camille
Claudel è
un film difficile solo per l'insolita durata; per il resto è l'espressione
intensa e figurativa di una passione d'artista. |
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da Cineforum (Mariachiara Pioppo) |
"Un
mistero in piena luce": così Paul Claudel definisce la sorella Camille
poco prima di rinchiuderla in un manicomio, dove rimase fino alla morte
(avvenuta nel 1943). E così Camille appare agli spettatori nel film che
narra la sua vita. Dal primo incontro con il maestro Rodin all’ultimo
disperato gesto di rabbia (la distruzione di quasi tutte le sue opere), il
personaggio di Camille Claudel deriva la sua complessità dall’impetuosità
della sua ispirazione artistica e dagli eccessi melodrammatici della sua
esistenza. Nel ricreare la figura della scultrice il regista è ricorso
allo stereotipo classico dell’artista che conosce, quale sua unica
religione, quella dell’arte e che dedica la sua vita al culto dell’arte
pura. I simboli della ribellione artistica compaiono uno dopo l’altro nel
film e la "degenerazione" di Camille, causata, da un lato, dalla fine
della sua storia d’amore con Rodin e, dall’altro, dal non vedere
riconosciuto il suo genio (era considerata una semplice seguace del
maestro), è sottolineata dal suo progressivo ricorso all’alcol, dalla
scelta dell’isolamento e dalla sua sempre più manifesta pazzia. Il rifiuto
delle regole della società, caratteristico anch’esso dell’artista
"maledetta", si manifesta in Camille contemporaneamente all’affermarsi del
suo precoce talento ed è esemplificato dal rapporto conflittuale con la
madre, "incarnazione" della morale borghese. |