-
Parigi
1934. Victoria Grant, una buona cantante dotata tra l'altro di un
"cristallino" mi naturale, vaga da tempo nella di-soccupazione,
ridotta alla fame o ad un imbroglio (il classico scarafaggio nel
piatto) pur di poter consumare un pasto decente. Proprio in questo
frangente incontra Toddy, "non-uomo di spettacolo" (gay!) anch'egli
nei guai. Tra i due nasce un'amicizia che si trasforma in
collaborazione artistico-manageriale quando Toddy convince Victoria,
dopo averne per caso notato la disinvolta virilità in abiti
maschili, "a fingere di essere un uomo che finge di essere una
donna" presentandola in palcoscenico come il conte polacco Victor
Grazinsky, un gay di raffinate doti spettacolari. Il successo di
Victor-Victoria è clamoroso, tutta la Parigi snob accorre alle sue
esibizioni e tra gli spettatori c'è anche tale King Marchan, un
americano un po' gangster e un po' impresario di rivista, che non la
in tempo a rendersi conto dell'ambiguità,del personaggio che già ne
è innamorato. La sua crisi di maschio, invaghitosi di un omosessuale
camuffato da donna, dà l'avvio alla parte centrale del film che si
sviluppa attraverso una simpatica combinazione di eventi in continua
contraddizione-rivelazione: Norma (l'amante di Marchan) prima è
gelosa di Victoria, poi lo abbandona sdegnata per la sua cotta per
Victor. King dal canto suo non si dà pace (tra cuore infranto e
orgoglio ferito) finché non riesce ad arrivare alla verità; intanto
però Victoria ha già ceduto al suo charme e gli rivela il suo amore
di donna... Parallelamente Squash, la muscolosa guardia del corpo di
King, ingannato dalla relazione del suo boss con Victor, si confessa
anch'egli gay e fa coppia col placido Toddy. L'ex-impresario di
questi ha comunque dei sospetti sull'"affare Victor" e cerca di
screditarlo ingaggiando un investigatore privato. Marchan poi viene
accusato di omosessualità anche dai suoi soci di Chicago che ne
approfittano per escluderlo dal giro…
In soprafinale il detective riuscirà a risolvere il caso
gettando le premesse per lo scandalo, ma ormai Victoria ha lasciato
l'ambiguità per l'amore e può applaudire, alfine radiosa nella sua
femminilità, al nuovo Victor-Victoria del palcoscenico, I'entusiasmante
Toddy che, iterando il processo di specularità e sdoppiamento,
"finge di essre una donna che finge di essere un uomo che si finge
donna".
E'
evidente, già nella pura struttura narrativa di
Victor
Victoria,
l'arguto ammiccare di Edwards al fascino discreto dell'ambiguità: il
falso che sembra vero, l'omosessualità e la virilità quali scandalo
compiacente e sicurezza effimera delle categorie borghesi, il
palcoscenico e gli attori (quindi anche il cinema) come universo
carismatico della precarietà del reale, ed al contempo del loro
perpetuarsi illusorio entro i confini di un apparire sfrontatamente
iper-credibile proprio grazie ai meccanismi appaganti della fiction. Ma
ciò che conquista in
Victor
Victoria
non è solo l'assunto tematico, quanto (pure) l'eleganza dell'insieme di
citazioni e riferimenti che supportano il discorso, lo sguardo sicuro e
sornione che guida la macchina da presa: la minitruffa al ristorante non
è anch'essa giocata su ciò che appare e su cosa è invece la realtà?
Victoria Grant, con il suo cognome anglosassone, non è un nuovo
americano a Parigi che attira l'attenzione con i "travestimenti su
carne" anziché con le "pitture su tela"? L'amicizia tra Victoria e Toddy
nella sua essenzialità asessuata (cioè paritetica) non rievoca le
tradizionali "coppie virili" del mito hollywoodiano? E Norma, la bionda
fatale, fa il verso a Jean Harlow, a Marilyn Monroe o a qualche
stereotipo di pin-up contemporanea?
Occorre poi ricordare la funzionalità di specchi e vetri che riflettono,
filtrano o isolano una combinazione di inganni e sicurezze sempre più
inafferrabili, e la dialettica elementare degli usci chiusi che
precludono alla vista i passi estremi della mistificazione (è celata ai
nostri occhi sia la presentazione di Victor all'impresario, sia la
sostituzione Victoria-Toddy di fronte all'ispettore di polizia), il
cesellato accompagnamento sonoro di Henry Mancini che contribuisce,
nella vivace complicità delle musiche e dei testi, allo smagliante esito
complessivo, la conturbante risurrezione di Victoria-Julie Andrews che
nel ricomparire soavemente donna tra il pubblico del suo ex-spettacolo
ribadisce alfine la rivalutazione della propria entità femminile
nell'edulcorato panorama della sua carriera d'attrice.
I rimandi vanno certo a Lubitsch, al suo gusto "charmant" ed alla sua
frivolezza double-face, e pure alle mordaci composizioni artistiche di
Wilder; ma è certo che a forza di rifare il verso al cinema-cinema,
altrui e proprio, Edwards è arrivato a modellare un proprio tocco
personalissimo che si espande nel costrutto visivo con sussiegosa
sicurezza, sapendo ricrearsi, senza perdersi nel labirinto della
mistificazione idealizzata, nella fascinosa interscambiabilità di
allusione ed illusione.
ezio leoni
-
Espressione
Giovani
maggio-giugno1983
|
Regia e sceneggiatura: Blake Edwards.
Fotografia: Dick Bush.
Musica: Henry Mancini (parole delle canzoni Leslie Bricusse).
Montaggio: Ralph E. Winters.
Coreografia: Paddy Stone. Costumi: Patricia
Norris. Scenografia: Tim Hutchinson, Wiliam Craig
Smith. Arredamenti: Harry Cordwell.
Interpreti:
Julie Andrews (Victor/Victoria),
James Garner (King), Robert Preston (Toddy),
Lesly Ann Warren (Norma), Alex Karras (Squash).
Produzione: Blake Edwards e Tony Adams.
Distribuzione: CIC. |