Su
un film come
Kedma, passato
in concorso a Cannes 2002 e da li, fresco fresco, sui nostri schermi, sarà bene
intendersi. Si: é un film che parla della nascita di Israele ed è quindi di
strettissima attualità, anche perché il regista, l'ebreo
Amos Gitai
usa il passato del suo paese per commentare il presente (anzi:
per intervenire nel presente). No: non è un film spettacolare, non «racconta»
lo sbarco dei primi profughi nel maggio del '48 ma lo «rappresenta» con stile
quasi astratto, mette in scena una battaglia in modo abbastanza ridicolo, insomma
non é un film narrativo tradizionale né tanto meno d'azione, ma un'opera solenne,
a suo modo sperimentale, piuttosto noiosa. Questo perché non vi aspettiate di
andare a vedere
Exodus 2... Kedma (significa: verso oriente)
é il nome della nave che sbarcò i primi profughi ebrei sulla terra di Palestina
il 7 maggio 1948. Ad aspettarli - questa é storia - c'erano gli inglesi, che
stavano per abbandonare la Palestina (il loro ritiro era stato annunciato sin
dal novembre 1947, dopo la famosa risoluzione dell'Onu che decretava la spartizione
del territorio tra arabi ed ebrei) ma avevano deciso di impedire lo sbarco.
Gli inglesi se ne andarono definitivamente il 14 maggio, lo stesso giorno in
cui Ben Gurion proclamò l'indipendenza dello stato di Israele. Le lotte con
gli arabi erano in corso da tempo. In modi diversi, proseguono ancora oggi.
Il fiIm comincia a bordo della Kedma. É un inizio ubriacante, spiazzante. La Kedma é piena di profughi che si portano appresso i poveri bagagli, ma sono costretti a nascondersi sottocoperta perché la marina e l'aviazione inglese non li veda, e creda che la nave sia un mercantile. Sono ebrei scampati all'olocausto, finito tre anni prima. Superstiti che sognano una nuova vita. La Kedma sembra una di quelle carrette del mare che ogni tanto si avvicinano
al porto di Brindisi: é un'immagine che dovrebbe ricordarci come i ruoli, nella storia, girino, e i popoli facciano a turno ad essere perseguitati.
L'arrivo in Palestina é ancora più incredibile: Gitai riesce a portarci nella situazione psicologica di ebrei che provengono da tutti gli angoli d'Europa e, quando mettono piede sulla terra promessa, non
l'hanno mai vista in vita loro e sono probabilmente stupefatti dal trovarsi in mezzo a quattro sterpi e, a una pianura di sassi, con l'esercito inglese che li vorrebbe ricacciare in mare e gli arabi che cominciano subito a guardarli storti. Questi sono i momenti in cui Gitai, giocando esclusivamente su sguardi spaesati e scarni dialoghi, fa grande cinema.
Poi c'é la battaglia. Dovrebbe essere la ricostruzione della «battaglia di Latrun», uno degli scontri di quei giorni. Di fatto, vediamo un manipolo di ebrei malvestiti e male armati che conquista una casupola in cima a un
montarozzo... In questa fase, ciò che Gitai comunica é - di nuovo - lo spaesamento, l'assoluta mancanza di senso. Lo scontro é ricostruito un po' così, con pochi mezzi e poca convinzione. Gitai non é un regista di western e si vede.
Poi c'è il finale, girato come un film di Straub-Huillet. É il momento più bello del film, 10 minuti che valgono
tutti i precedenti. Sono due invettive, quasi due bestemmie, che Gitai «ruba» a due poeti, uno ebreo ed uno arabo: Haim Azaz e Tawfik Zayad. La prima invettiva é del vecchio arabo appena espropriato della capanna, dell'asino, della vita:
«Resteremo qui come un muro, faremo figli che riempiranno le vostre prigioni, non avremo cibo né vestiti ma vi sfideremo per sempre». Tremendo. Ma ancora più tremenda é Ia tirata di Janusz, uno degli sbarcati dalla Kedma. Mentre si contano i morti della battaglia e
gli arabi sono in fuga, Janusz nega Israele, nega il Dio degli eserciti, nega il popolo eletto e la terra promessa:
«Siamo un popolo senza storia. Il Messia é solo un mito che ci tiene vivi. Cosa saremmo senza la nostra sofferenza? Non saremmo nulla! Israele non é un paese ebreo, né adesso né in futuro. Tutto é finito». Entrambi i vecchi urlano il proprio dolore a gente che non li ascolta. L'israeliano Gitai ci dice che Israele é nato sulla sofferenza ed é comunque un paese di «deportati»
(parola sua), di arabi che fuggono gli ebrei e di ebrei che fuggono il mondo.
Kedma é un
film durissimo. In Israele molti lo odieranno. Noi, vedendolo, potremmo intuire le radici di tutto quell'odio.
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