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finalmente quel cinema americano che mancava alla stagione cinematografica,
incisivo e possente, articolato nell'intrigo e scorrevole nel ritmo dell'azione:
Traffic,
trascurato al festival di Berlino, ma ora in corsa per ben cinque oscar! Il
traffico è (ovviamente) quello della droga, ma anche quello delle sequenze, che
Steven Soderbergh
sa gestire con un montaggio complesso che intreccia più
storie in parallelo. L'arresto di un trafficante a San Diego-California innesca
un meccanismo che coinvolge vari personaggi: i due agenti autori del fermo, un
magistrato responsabile per il governo americano della lotta alla droga, la
tranquilla moglie di un uomo d'affari che si scopre, d'un tratto, sposata ad un
boss del narcotraffico. Di contraltare, in Messico, la vicenda mette in
relazione un generale che combatte con brutale (e faziosa) determinazione gli
spacciatori del cartello di Tijuana e due poliziotti che svolgono la loro
missione con solerzia e discutibile onestà.
Su questo ricco intarsio di uomini, situazione e ambienti (livida e azzurrastra
la fotografia a Washington, un giallo-arancio saturo per i paesaggi oltre
confine), si innescano spiazzanti meccanismi narrativi che forzano la mano al
racconto ed alla coerenza dei suoi protagonisti: il programma di protezione dei
testimoni ha da sempre le sue falle, il giudice troverà "il nemico"
nella spirale di abbrutimento in cui precipita la giovane figlia drogata, la
buona madre di famiglia, col marito in carcere, si rivelerà disposta a tutto pur
di non rinunciare al proprio agiato tenor di vita. Soderbergh (Sesso,
bugie e videotape,
Out
of Sight,
Erin
Brockovich)
scompone e ricompone le sue storie con una sicurezza registica che avvince e che
lascia allo spettatore precisi, alterni segnali di scoramento e fiducia. La
figura del magistrato e della moglie, impotenti, ma non rassegnati nello stare
al fianco della figlia ("siamo qui per ascoltare") e il volto,
segnato dal sole e da un apparente, imperturbabile cinismo, di Benicio del Toro
imprimono un tocco di profonda, sofferta umanità che sa emergere tra le
ricercatezze stilistiche, il ritmo serrato, il nervosismo della macchina a mano
e il calibratissimo cast (oltre a Del Toro, la coppia divistica Michael Douglas /Catherine
Zeta-Jones e i "redivivi"
Thomas Milian e Amy Irving). L'inquietudine che si respira in
Traffic
è la risposta dell'action-movie al magmatico dramma esistenziale di
Magnolia.
Il soggetto nasce dall'omonima serie televisiva britannica, ma, sulla base della
sceneggiatura "esperta" di Stephen Gaghan (ex tossicodipendente),
Soderbergh trasforma il tutto in vero grande cinema, capace di far
esplodere l'azione e i conflitti morali, di toccare nel monito della
responsabilità civile sia il pubblico che il privato, di lasciare aperto uno
spiraglio di speranza, se non nella strategia della politica, almeno nei
concreti segnali dell'intraprendenza dei singoli: da un microfono-spia nascosto sotto un tavolo ad
un nuovo impianto di baseball per i bambini messicani…
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