Per
guardare l’altra America, la faccia più defilata degli Stati Uniti dal
punto di vista paesaggistico, antropologico, sociale (e si potrebbero
aggiungere altre opzioni) il cinema indipendente resta, pur con i suoi
manierismi, con le sue perplesse visioni, con il suo antiglamour
programmatico, con i suoi cliché narratologici, la bussola,
l’obiettivo fotografico migliore. L’esordiente regista e sceneggiatore
Tom McCarthy
ricomincia da dove gli
altri pargoli del Sundance Festival sono arrivati e da dove la lezione
del nuovo cinema americano continua a spargere nel vento i suoi semi.
Nella solitudine rilassata e mai disperata di Fin (Peter Dinklage), il
piccolissimo uomo, il compassato, simpatico ed energico nano che ama i
treni e che eredita e si insedia in una stazione del New Jersey dove
sulle rotaie crescono le erbacce e non ci sono più diretti né
accelerati, né convogli sbuffanti, né vagoni da ammirare, si rifrange
uno spicchio di mondo altrettanto piccolo di persone che hanno perduto
il senso dell’orientamento: qualcuno non ha mai cominciato né cercato.
Neppure la più rigida e ferrea griglia di un orario ferroviario
potrebbe metterli in riga o riavviare il loro motore esistenziale.
Delicato, poetico, spiritoso, meditabondo esempio di slow cinema. I
cavalli d’acciaio di una volta arenati sulle strade ferrate della
provincia. |
Fin
è un nano introverso e solitario che, essendo appassionato di treni,
lavora in un negozio di modellismo ferroviario. Alla morte del
proprietario del negozio,il suo unico amico, Fin si vedrà lasciare in
eredità una piccolissima stazione del New Jersey, in disuso da
parecchie decadi. L'uomo, determinato ad onorare le volontà
dell'amico, si vedrà costretto all'inserimento in una realtà
provinciale e ad affrontare un travagliato percorso di adattamento,
tra discriminazione ed inattese amicizie.
Una fotografia nitida, accostata ad inquadrature dalle geometrie
accentuate, valorizza scenari semplici, contribuendo con la colonna
sonora a generare una cornice di rassicurante impatto. Nonostante i
pochissimi dialoghi, grazie anche ad interpretazioni notevoli i vari
personaggi acquistano gradualmente profondità, sottesa
dall'intrecciarsi di caratteri distanti ma accomunati da sensibilità
affini e complementari. La diversità non trova alibi né quel 'certo
riguardo' discriminante: viene infatti sviscerata senza inutili pudori
o melodrammi tramite l'esplorazione del carattere di Fin, tra crescita
relazionale e rabbia esistenziale. Station Agent non è solo il proprio
protagonista, e la coralità compositiva ribadisce, in un inatteso ed
energico inno alla vita, che 'piccolo uomo' e 'uomo piccolo' sono
definizioni totalmente indipendenti.. |